De Jong-Caicedo, la sfida dei cervelli
Nell’Olanda guida il “piccolo Cruijff”, nell’Ecuador il talento di De Zerbi
Quando gli chiesero un parere su di lui, l’ex tecnico dell’Ajax usò la metafora dei numeri: «E’ un 6 che tende a diventare un 8 e poi anche un 10». Azzeccata, perché Frenkie de Jong lo trovi dappertutto, tocca un’infinità di palloni e sempre con grande qualità. Oggi sfiderà una sorta di alter ego, forse meno elegante, di certo meno glamour, ma altrettanto universale e predestinato come era lui: Moises Caicedo. Dal Brighton con furore, con la benedizione di Roberto De Zerbi: «Diventerà uno dei centrocampisti più forti d’Europa». Oggi Olanda ed Ecuador si giocano la vetta del girone e l’onore di essere la prima squadra a qualificarsi per gli ottavi. Da una parte il gioiellino Gakpo, dall’altra il trita portieri Enner Valencia. Ma se è vero che le partite si vincono a centrocampo, il duello tra quei gioielli di Frenkie e Moises sarà decisivo.
Mondi opposti De Jong, 25 anni, viene da una famiglia benestante. Non ha avuto problemi a dedicarsi al pallone. Moises, 21 anni, più giovane di 10 fratelli, nella città di Santo Domingo de los Colorados, 150 km a ovest della capitale Quito, prima degli avversari ha dovuto imparare a dribblare povertà e bande criminali. I suoi genitori si sono svenati per comprargli le prime scarpe da calcio. Quando a 13 anni lo prese l’Independiente del Valle, uno dei dirigenti lo “adottò” per nutrirlo e aiutarlo negli spostamenti per gli allenamenti. De Jong seguiva la passione e i dettami del suo idolo, Cruijff ovviamente. «Ho letto che consigliava di giocare con un pallone più piccolo per migliorare la tecnica. Così ho fatto. Quando dal numero 3 sono passato al 5, mi è sembrato tutto più facile». Moises Caicedo seguiva solo il suo talento e la sua fame.
Tra Cruijff e
il Willem Frenkie e Moises hanno una cosa in comune: la consapevolezza di se. Per il gioiello del Barcellona fa sempre capolino il paragone eccellente. Per dire, Jos Bogers, suo allenatore al Willem II, dice: «Dava ordini a compagni più grandi che lo ascoltavano, come faceva Cruijff a 17 anni». Non è cambiato, comanda e preferisce sbagliare una giocata che fare una cosa banale. Del mito ha perlomeno la stessa padronanza del campo e del gioco. E una certa testardaggine. Da piccolo scelse il Willem II piuttosto che la squadra spinta dai genitori, il più nobile Feyenoord. D’altronde Robbie Hendriks, suo primo coach, diceva: «Bravo ragazzo, ma se gli dicevi di andare a destra, andava a sinistra». Lo fa ancora da grande. Il Barcellona indebitato l’anno scorso voleva cederlo a tutti i costi per fare cassa (ora vale 70-80 milioni di euro, e pensare che l’Ajax pagò un solo euro al Willem per averlo con l’accordo del 10% sulla rivendita) ma lui si è impuntato: «Sono venuto per giocare qui e resto». E ha tra- mutato i fischi dei tifosi in applausi. Chapeu.
Il “tren” Valencia
Caicedo invece aspetta di spiccare il volo e agli apprezzamenti di De Zerbi, risponde: «Sono molto felice, il mister mi sta aiutando a crescere. So di essere un giocatore importante, che farò molta strada e sarà guardato da tutto il mondo». Beh, questa è la vetrina giusta. Intanto rincorre il suo obiettivo: scalzare Antonio Valencia dal trono del più forte giocatore ecuadoriano della storia. Per Frenkie è quasi impossibile raggiungere il suo mito, visto chi è. Forse è meno difficile provare a conquistare quel Mondiale che a Johan è sempre sfuggito. Ad ascoltare Van Gaal, l’Olanda con lui ce la può fare.