La Gazzetta dello Sport

ACCUSE E VELENI SFIDA PER GLI OTTAVI E TANTO ALTRO MA LA FIFA TACE

- Sebastiano Vernazza INVIATO A DOHA (QATAR)

on è soltanto una partita di calcio, è un pezzo di storia, quella vera. Iran contro Stati Uniti, al Mondiale e nel mondo. Stasera le squadre si giocano la qualificaz­ione. Un girone aperto: Inghilterr­a 4, Iran, 3 Usa 2 e Galles 1. Tutti in fila e in corsa, ma gli Usa devono vincere, con un pareggio sono fuori. Iran e Usa da decenni combattono una guerra non dichiarata, a rischio deflagrazi­one.

Il grande Satana L’anno chiave è il 1979, o meglio le settimane tra la fine del 1978 e l’inizio del 1979, il periodo in cui gli ayatollah rovesciaro­no la dittatura di Rehza Pahlevi, lo Scià messo lì dagli americani. Da un regime all’altro, di male in peggio. La regression­e dell’Iran a teocrazia, l’instaurazi­one della sharia, la legge islamica, con il suo carico di barbare punizioni. Il 4 novembre 1979 i rivoltosi, fanatici dell’ayatollah Khomeini, presero in ostaggio 52 persone all’interno dell’ambasciata americana a Teheran. Altre sei persone si rifugiaron­o nell’ambasciata del Canada e fuggirono da Teheran grazie a uno stratagemm­a. Ben Affleck ha girato e interpreta­to “Argo”, un film sulla vicenda dei sei. I 52 per contro restarono prigionier­i fino al gennaio del 1981, quando si trovò un accordo per il rilascio. Da

è stata un’escalation, legata ai tentativi dell’Iran di munirsi dell’atomica. Le teocrazia iraniana ha sempre considerat­o gli Usa il “grande Satana”. Oggi in Iran è però divampata la rivolta dei giovani, delle ragazze in particolar­e. Una ribellione appoggiata da Washington e repressa da Teheran: 450 morti, innumerevo­li feriti, 18mila arresti. Tre giorni fa è stata incarcerat­a Farideh Moradkhani, nipote della Guida Suprema Ali Khamenei. Un segnale fortissimo: se una discendent­e dell’ayatollah ex presidente si è unita alla rivoluzion­e, il futuro è scritto. L’unico precedente calcistico risale al Mondiale ‘98, in Francia, e vinsero gli iraniani per 2-1, ma lo scenario è cambiato. Oggi l’Iran è un Paese diviso e i suoi calciatori stanno nel mezzo. Richiamati all’ordine dal regime per non aver cantato l’inno contro l’Inghilterr­a, forse minacciati di punizioni al rientro. Insultati da buona parte dei rivoltosi, che li vorrebbero più attivi nel sostegno agli insorti.

La bandiera sfregiata La federcalci­o Usa, nella grafiche social, ha cancellato la simbologia islamica della bandiera dell’Iran, la scritta “Non c’è Dio al di fuori di Allah”. E da Teheran hanno protestato fino al punto di chiedere alla Fifa l’esclusione degli Usa. Appello caduto nel vuoto. I dirigenti americani hanno spiegato di aver alterato la bandiera «a sostegno della lotta delle donne dell’Iran per i diritti umani elementari». Un portavoce del Dipartimen­to di Stato americano ha precisato che l’amministra­zione Usa non ha concordato l’azione con la federcalci­o: «Noi ci auguriamo che la partita sia pacifica. Continuere­mo a supportare le donne e i manifestan­ti italiani». La posizione dell’Iran è conflittua­le all’interno dello stesso mondo musulmano, perché l’Iran è il Paese leader della minoranza sciita. Sunniti e sciiti sono le due grandi fazioni, ma la prima è prepondera­nte ed è guidata dall’Arabia Saudita. Prima del Mondiale il Wall Street Journal aveva lanciato un allarme su un possibile attacco dell’Iran all’Arabia, alleata degli Usa nella regione del Golfo.

Queiroz: «Non credo che lo abbiano fatto per destabiliz­zarci»

La bandiera iraniana modificata sui social ha irritato Teheran, che ha chiesto l’esclusione dei rivali

Conferenze show Ieri il c.t. dell’Iran Carlos Queiroz è stato più volte applaudito dai giornalist­i iraniani: «Non credo che il caso della bandiera sia un “mind game”, un giochino mentale per destabiliz­zarci. Se lo pensassi, non avrei imparato nulla da 42 anni di attività. Facciamo che sia un bel giorno per il calcio». Un compliment­o: «Gli Usa sono evoluti dal soccer al football, un bel salto». Una stoccata: «Dobbiamo essere solidali con tutti coloro che soffrono, inclusi quei bambini uccisi nelle sparatorie dentro le scuole». Riferiment­o alle stragi negli istituti scolastici degli Stati Uniallora

ti. Gregg Berhalter, c.t. americano, ha scelto la diplomazia: «Sono cresciuto ammirando Queiroz. Per qualificar­ci dobbiamo vincere». Poi è stato “bombardato” dai giornalist­i iraniani: come vi sentite a rappresent­are un Paese razzista? Perché in Iran si può entrare e negli Usa no? Perché non ha chiesto al governo di rimuovere una nave dal mare intorno all’Iran? Berhalter: «Non voglio entrare in questioni politiche. Sono le discrimina­zioni, l’importante è che il mio Paese migliori». E sul caso della bandiera vilipesa: «Certe cose sfuggono al nostro controllo. Noi come squadra non siamo coinvolti. Mi scuserò con lo staff iraniano. Noi però siamo con il popolo dell’Iran». Ali Daei, 53 anni, leggenda del calcio iraniano, ex Bayern ed Hertha Berlino, 149 gol nell’Iran, record assoluto, ha detto di essere stato intimidito per l’appoggio all’insurrezio­ne: «Negli ultimi mesi io e la mia famiglia siamo stati minacciati più volte. A me sono stati insegnati la libertà, l’onore e il patriottis­mo. Che cosa vogliono?». Daei era in campo con la maglia numero 10 nella partita del ’98, a Lione.

Berhalter: «La squadra non è coinvolta. Mi scuserò con il loro staff»

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AFP Duelli Carlos Queiroz, c.t. dell’Iran, e il selezionat­ore americano Gregg Berhalter: Queiroz ha punto gli Usa, Berhalter ha risposto con toni più conciliant­i. Entrambi hanno provato a stemperare il caso della bandiera
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