LE COLPE DI BINOTTO E LE RESPONSABILITÀ DI CHI RIMANE
Il mestiere di team principal, in F.1, è difficile. Quello di team principal della Ferrari lo è di più. L’unica scuderia sempre presente nel Mondiale, dal 1950 a oggi, che non conquista il titolo piloti da ormai 15 stagioni, appoggia da sempre sulle spalle di chi la gestisce un carico di aspettative paragonabile solo a quello, per restare in ambito sportivo, di un c.t. della Nazionale di calcio. Si può solo vincere. E quando non succede, perché in F.1 stare davanti a tutti è esercizio molto complicato, è quantomeno vietato sbagliare. Pena i saluti. Stavolta è toccato a Mattia Binotto, il cui esonero virtuale è in atto ormai da un paio di settimane e aspetta solo un comunicato che lo ufficializzi. Binotto – persona mai arrogante, dunque degna di rispetto – ha pagato pochi ma fondamentali errori che hanno accompagnato il suo mandato. Quello pesante del passato - ossia l’accusa di aver utilizzato nel 2019 una power unit non conforme alle regole, con relativo intervento della Fia, di cui lui come numero uno del team era a prescindere responsabile - non ha avuto conseguenze tangibili. Gli altri, tutti concentrati in questo 2022, gli sono costati il posto. Il primo è stato non aver fatto una scelta chiara nelle gerarchie interne tra i due piloti, nel momento in cui Leclerc era in testa al Mondiale e la monoposto viaggiava più forte della Red Bull: bisognava massimizzare il vantaggio, invece si è deciso di trattare allo stesso modo Charles e il suo compagno Sainz. Ottenendo l’effetto contrario. Montecarlo e Silverstone hanno pesato tanto, picchi di decisioni poco felici degli strateghi del Cavallino. Binotto ha respinto sempre, con grande fermezza, le accuse a muretto box e remote garage di Maranello.
Quando invece la carenza era evidente e andava affrontata con un cambiamento immediato e forte. Difendere la squadra va bene, andare contro l’evidenza no: in F.1 conta solo il risultato e il ruolo di team principal richiede scelte dure e impopolari. Non sono arrivate, almeno in modo ufficiale, ed è sembrato un segno di debolezza. Non è bastato quindi, affinché Binotto potesse proseguire la sua avventura, il ritorno alla competitività delle rosse che venivano da due stagioni di sofferenza. I vertici aziendali pensano che si possa e si debba far meglio.
Dunque si volta pagina. John Elkann, presidente della Ferrari, e il responsabile della scuderia non si erano mai veramente “presi”: quanto successo mette fine a una convivenza faticosa, che probabilmente non ha contribuito alla serenità della squadra.
Leclerc, che molti hanno identificato come ispiratore dell’uscita di scena del team principal, deve indossare ora il ruolo di pilota di punta, con i vantaggi ma anche i compiti che questo comporta. Pure
Charles nel 2022 non è stato immune da errori (al Castellet quello più grave), e il futuro lo chiama a un salto di qualità come leader. Non basta essere un pilota veloce e di talento, e da questo punto di vista il monegasco si sente legittimamente superiore al compagno, ma serve anche saper decidere e guidare il team nelle scelte tecniche e strategiche: Hamilton e Verstappen insegnano. Ma la responsabilità maggiore resta nelle mani di Elkann e di Benedetto Vigna, amministratore delegato del Cavallino, che a quanto pare potrebbe assumere l’incarico di team principal ad interim. Chi verrà dopo dovrà essere
La svolta Ferrari: Elkann e l’ad Vigna dovranno aiutare chi verrà. E Leclerc ora non ha più alibi
accompagnato da molta fiducia. E supportato, anche difeso quando sarà il caso, come non è stato fatto con Binotto, lasciato spesso solo. Paradossalmente, anche quando vinceva. A Maranello non si festeggia un titolo dal 2007, in mezzo – a dirigere la Gestione Sportiva - sono passati Domenicali, Mattiacci, Arrivabene e Binotto. I Wolff e gli Horner non si trovano al supermercato, certo. Ma la stabilità e la comunione d’intenti si coltivano in casa, giorno dopo giorno. Il 2023 è dietro l’angolo, scopriremo presto se la scelta avrà pagato.