L’uscita di Mattia I silenzi di Elkann e le due settimane di passaggi tecnici
Èdifficile credere che tutto sia precipitato nell’ultima settimana, al ritorno dal GP di Abu Dhabi, come se prima fossero state rose e fiori. In realtà l’addio di Mattia Binotto alla Ferrari aveva cominciato a delinearsi molto tempo fa. Lo avevano annunciato numerosi segnali: le voci del 2021 su un John Elkann in cerca di un sostituto del team principal, il silenzio assordante del presidente di Stellantis all’inizio di questa stagione dopo le entusiasmanti vittorie di Charles Leclerc in Bahrain e Australia, ma sopratutto il silenzio che c’è stato in seguito. Interrotto solo da un’intervista alla Gazzetta dello Sport in cui ringraziava Binotto del lavoro svolto, quasi fosse un commiato, fissando l’obiettivo del titolo iridato entro il 2026. I primi trionfi dell’anno, forse inattesi dagli stessi vertici aziendali, sono stati un’ancora di salvezza momentanea per Binotto, dopo un 2019 pieno di ombre per l’inchiesta Fia sulla presunta irregolarità delle power unit di Maranello e i due campionati successivi tra inferno e purgatorio. Ma poi le illusioni si sono sciolte come neve al sole, assieme ai motori di Leclerc e Sainz andati arrosto, e da lì in avanti c’è stata solo la Red Bull, con il contorno di imbarazzanti errori di strategia, sviste ai box e malumori del monegasco per il trattamento ricevuto rispetto al compagno di squadra. Un finale di Mondiale (un altro) da dimenticare. Il tutto nel perdurare di quel silenzio da parte di Elkann, ma anche dell’amministratore delegato Benedetto Vigna, che rimarcava ogni domenica la distanza abissale fra la dirigenza Ferrari e l’uomo al comando della Gestione Sportiva. Un uomo sempre più solo al comando. L’ultima settimana, al rientro dagli Emirati Arabi, è servita a certificare l’immutabilità di una situazione senza uscita, che si era già trascinata per troppo tempo. Binotto ne ha preso atto. Forse ha sentito più sfiducia e isolamento attorno a sé di quanti ne avesse mai percepiti nei mesi scorsi. Neppure una telefonata da parte di Elkann o Vigna. A conferma che anche la smentita alla notizia del cambio al vertice, da noi pubblicata prima di Abu Dhabi, era un’iniziativa personale del team principal, non la “voce” dell’azienda. Le indiscrezioni si sono rivelate fondate. E il divorzio, sotto forma di dimissioni forzate, è stato inevitabile. Quasi un sollievo. Ci sono da definire parecchi dettagli, soprattutto economici, e Binotto resterà nel suo ufficio ancora per un paio di settimane. Lascia la Ferrari dopo quasi trent’anni: c’era entrato da stagista nel 1995, è stato ingegnere motorista di Michael Schumacher, capo del reparto power unit, direttore tecnico, team principal. Una grande carriera in rosso. Con un sipario amaro.