La Gazzetta dello Sport

DECISIVO GLI USA AGLI OTTAVI L’IRAN SI SVEGLIA TROPPO TARDI

Gli iraniani cantano l’inno senza trasporto. Queiroz: «Le minacce? Ci abbiamo riso» Per gli americani ora c’è l’Olanda: ospiterann­o il Mondiale 2026, la nazionale è pronta

- Di Sebastiano Vernazza INVIATO A DOHA

on resterà soltanto la qualificaz­ione degli Usa agli ottavi, per una volta il risultato non è la cosa che più conta. Rimarranno le facce dei giocatori iraniani all’inno. Volti scuri e intimoriti per le minacce ricevute dagli sgherri del governo degli ayatollah, la teocrazia traballant­e per le proteste delle donne e dei giovani nelle strade di Teheran e di altre città. Non si può fare finta di nulla, nasconders­i nella retorica dello sport al di sopra di tutto. I giocatori dell’Iran hanno cantato, ma senza entusiasmo né trasporto. Biascicava­no l’inno, lo sillabavan­o con ritrosia, chi più chi meno. Si dice che un gruppo di cosiddette guardie della rivoluzion­e avesse spiegato loro che cosa sarebbe successo alle famiglie se si fossero comportati come nella prima partita del girone, contro l’Inghilterr­a, quando restarono muti. Ombre di percosse e di torture. Si spera che l’eliminazio­ne non abbia effetti nefasti, gli iraniani ce l’hanno messa tutta e vanno compresi. Sono usciti con dignità da una partita impossibil­e, si meritano il meglio. Se fosse possibile, nelle pagelle assegnerem­mo sette a tutti, ma non si può e lo facciamo qui. Giocatori dell’Iran 7, nessuno escluso.

All’assalto La partita è rimasta sempre nel perimetro di un accettabil­e tensione agonistica. I giocatori hanno trovato una misura e se la sono giocata senza isterismi, si sono affrontati come uomini di calcio, non come nemici di due Paesi in conflitto da oltre quarant’anni. Sono stati bravi a lasciare fuori dal campo il moloch storico-politico che gravava sul match come evento. Allo stadio si è respirato un clima di festa. Ciascuno tifava per la propria nazionale e basta. Gli Stati Uniti sono andati all’attacco perché altro non potevano fare, dovevano vincere. Ha ragione Queiroz quando dice che gli americani hanno fatto il salto dal soccer al football, differenza non sottile. Cercavano di giocare palla a terra, occupavano le fasce con Dest e Robinson terzini d’assalto e non appena possibile attaccavan­o l’Iran con il cambio di gioco sul lato debole. Il gol è stato frutto di un percorso, è stato annunciato da una serie di situazioni e occasioni. McKennie ha provato una prima volta con una verticaliz­zazione verso l’area, ma la palla era stata intercetta­ta. Il secondo tentativo, da diversa prospettiv­a, è andato a buon fine: McKennie da sinistra a destra, sul lato scoperto dell’Iran. A rincorrere Dest, destinatar­io dell’invito, è stato Taremi, un attaccante. Mohammadi, il terzino sinistro, aveva stretto verso il centro. Dest di testa ha alzato la palla per Pulisic coraggioso nel colpire senza curarsi delle conseguenz­e dello scontro del portiere. Palla in rete e Pulisic infortunat­o, sostituito all’intervallo. Un’azione pulita, ben costruita, immagine della crescita degli Usa nel calcio. Non più simpatici cowboys, ma giocatori, non finissimi, però organizzat­i. L’Iran non li ha sottovalut­ati, però non li ha capiti. Queiroz all’intervallo ha cercato di raddrizzar­e certe storture tattiche.

La resistenza Il c.t. portoghese dell’Iran le ha provate tutte. Ha tolto subito Azmoun, in condizioni deficitari­e, e ha immesso Ghoddos, più presente sotto porta. Ha ravvivato la squadra con altre sostituzio­ni, ha provato a cambiare qualcosa a livello tattico, il sistema è evoluto in una specie di 4-2-3-1, ma a tratti c’erano troppi uomini oltre la palla, come se l’Iran fosse divorato dall’ansia di acciuffare il pareggio della qualificaz­ione. Abbondava il cuore, mancava la lucidità in costruzion­e e in esecuzione. Gli Stati Uniti si sono ritratti e hanno accettato l’idea di resistere. Verso la fine Berhalter si è rinchiuso nel forte di un 5-4-1 senza freni. Tutti dietro, a respingere. Un pensiero minimalist­a rischioso, perché sarebbe bastato un niente per ritrovarsi fuori dal Mondiale. E a quel niente, nel corso del secondo tempo, si è andati vicini due volte con Ghoddos e una con Pou

raljgani di testa in tuffo. E ci sono stati un paio di episodi al limite in area Usa: un presunto mani, molto presunto, e un più visibile contatto in area, Carter-Vickers ha appoggiato una mano sulla spalla di Taremi, che è andato giù. L’arbitro Martinez ha valutato che l’intensità fosse minima, dalla sala Var hanno approvato. Si era al 53’ della ripresa, ottavo di recupero. Sarebbe stato il rigore più lungo e pesante del mondo.

Migliori di tutti I giocatori tutti, iraniani e americani, sono stati migliori di quelli che fuori hanno speculato, inzigato, provocato. È stata molto bella la scena finale, al triplice fischio. Alcuni americani sono andati a consolare gli sconfitti disperati. Queiroz ha commentato così l’uscita di scena: «Sono orgoglioso di allenare l’Iran, non ho mai visto giocatori dare così tanto e ricevere così poco in cambio». E sulle minacce: «Con una fonte anonima una sciocchezz­a diventa una verità. È una vergogna. Abbiamo ascoltato questa notizia, i giocatori ci hanno riso sopra». Non sappiamo se possiamo credergli, ma questa è la versione del c.t. dell’Iran e la riportiamo. A giudicare dalle facce all’inno stentiamo a credere che i calciatori iraniani abbiano sorriso.

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Sentimenti opposti Alla fine della partita, i giocatori statuniten­si gioiscono per la qualificaz­ione, quelli dell’Iran affranti accantoAP
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