DECISIVO GLI USA AGLI OTTAVI L’IRAN SI SVEGLIA TROPPO TARDI
Gli iraniani cantano l’inno senza trasporto. Queiroz: «Le minacce? Ci abbiamo riso» Per gli americani ora c’è l’Olanda: ospiteranno il Mondiale 2026, la nazionale è pronta
on resterà soltanto la qualificazione degli Usa agli ottavi, per una volta il risultato non è la cosa che più conta. Rimarranno le facce dei giocatori iraniani all’inno. Volti scuri e intimoriti per le minacce ricevute dagli sgherri del governo degli ayatollah, la teocrazia traballante per le proteste delle donne e dei giovani nelle strade di Teheran e di altre città. Non si può fare finta di nulla, nascondersi nella retorica dello sport al di sopra di tutto. I giocatori dell’Iran hanno cantato, ma senza entusiasmo né trasporto. Biascicavano l’inno, lo sillabavano con ritrosia, chi più chi meno. Si dice che un gruppo di cosiddette guardie della rivoluzione avesse spiegato loro che cosa sarebbe successo alle famiglie se si fossero comportati come nella prima partita del girone, contro l’Inghilterra, quando restarono muti. Ombre di percosse e di torture. Si spera che l’eliminazione non abbia effetti nefasti, gli iraniani ce l’hanno messa tutta e vanno compresi. Sono usciti con dignità da una partita impossibile, si meritano il meglio. Se fosse possibile, nelle pagelle assegneremmo sette a tutti, ma non si può e lo facciamo qui. Giocatori dell’Iran 7, nessuno escluso.
All’assalto La partita è rimasta sempre nel perimetro di un accettabile tensione agonistica. I giocatori hanno trovato una misura e se la sono giocata senza isterismi, si sono affrontati come uomini di calcio, non come nemici di due Paesi in conflitto da oltre quarant’anni. Sono stati bravi a lasciare fuori dal campo il moloch storico-politico che gravava sul match come evento. Allo stadio si è respirato un clima di festa. Ciascuno tifava per la propria nazionale e basta. Gli Stati Uniti sono andati all’attacco perché altro non potevano fare, dovevano vincere. Ha ragione Queiroz quando dice che gli americani hanno fatto il salto dal soccer al football, differenza non sottile. Cercavano di giocare palla a terra, occupavano le fasce con Dest e Robinson terzini d’assalto e non appena possibile attaccavano l’Iran con il cambio di gioco sul lato debole. Il gol è stato frutto di un percorso, è stato annunciato da una serie di situazioni e occasioni. McKennie ha provato una prima volta con una verticalizzazione verso l’area, ma la palla era stata intercettata. Il secondo tentativo, da diversa prospettiva, è andato a buon fine: McKennie da sinistra a destra, sul lato scoperto dell’Iran. A rincorrere Dest, destinatario dell’invito, è stato Taremi, un attaccante. Mohammadi, il terzino sinistro, aveva stretto verso il centro. Dest di testa ha alzato la palla per Pulisic coraggioso nel colpire senza curarsi delle conseguenze dello scontro del portiere. Palla in rete e Pulisic infortunato, sostituito all’intervallo. Un’azione pulita, ben costruita, immagine della crescita degli Usa nel calcio. Non più simpatici cowboys, ma giocatori, non finissimi, però organizzati. L’Iran non li ha sottovalutati, però non li ha capiti. Queiroz all’intervallo ha cercato di raddrizzare certe storture tattiche.
La resistenza Il c.t. portoghese dell’Iran le ha provate tutte. Ha tolto subito Azmoun, in condizioni deficitarie, e ha immesso Ghoddos, più presente sotto porta. Ha ravvivato la squadra con altre sostituzioni, ha provato a cambiare qualcosa a livello tattico, il sistema è evoluto in una specie di 4-2-3-1, ma a tratti c’erano troppi uomini oltre la palla, come se l’Iran fosse divorato dall’ansia di acciuffare il pareggio della qualificazione. Abbondava il cuore, mancava la lucidità in costruzione e in esecuzione. Gli Stati Uniti si sono ritratti e hanno accettato l’idea di resistere. Verso la fine Berhalter si è rinchiuso nel forte di un 5-4-1 senza freni. Tutti dietro, a respingere. Un pensiero minimalista rischioso, perché sarebbe bastato un niente per ritrovarsi fuori dal Mondiale. E a quel niente, nel corso del secondo tempo, si è andati vicini due volte con Ghoddos e una con Pou
raljgani di testa in tuffo. E ci sono stati un paio di episodi al limite in area Usa: un presunto mani, molto presunto, e un più visibile contatto in area, Carter-Vickers ha appoggiato una mano sulla spalla di Taremi, che è andato giù. L’arbitro Martinez ha valutato che l’intensità fosse minima, dalla sala Var hanno approvato. Si era al 53’ della ripresa, ottavo di recupero. Sarebbe stato il rigore più lungo e pesante del mondo.
Migliori di tutti I giocatori tutti, iraniani e americani, sono stati migliori di quelli che fuori hanno speculato, inzigato, provocato. È stata molto bella la scena finale, al triplice fischio. Alcuni americani sono andati a consolare gli sconfitti disperati. Queiroz ha commentato così l’uscita di scena: «Sono orgoglioso di allenare l’Iran, non ho mai visto giocatori dare così tanto e ricevere così poco in cambio». E sulle minacce: «Con una fonte anonima una sciocchezza diventa una verità. È una vergogna. Abbiamo ascoltato questa notizia, i giocatori ci hanno riso sopra». Non sappiamo se possiamo credergli, ma questa è la versione del c.t. dell’Iran e la riportiamo. A giudicare dalle facce all’inno stentiamo a credere che i calciatori iraniani abbiano sorriso.