MACCHÉ GOLIARDIA NEL CASO TRAORÉ C’È SOLO RAZZISMO
on c’è mai limite al peggio. Quando ieri mattina abbiamo letto il lungo post di Cherif Traoré sul proprio profilo Instagram ci è preso un senso di disgusto. E abbiamo riletto due volte le parole del pilone del Benetton Rugby e della Nazionale. Non perché non credevamo ai nostri occhi, purtroppo: alla faccia dell’evoluzione della specie, questa epoca ci sta abituando, ahinoi, alle peggiori espressioni del genere umano. Ma perché provavamo a immedesimarci in lui, in questo marmoreo blocco di muscoli alto un metro e 84 per 116 chilogrammi di peso, originario della Guinea, che si è sfogato pubblicamente, esausto di fronte all’ennesimo affronto, all’ennesimo gesto ignobile perpetrato nei suoi confronti.
Stavolta Cherif non ce l’ha più fatta a tenersi tutto dentro, ad accettare col sorriso l’ultima offesa come se fosse qualcosa di goliardico, quando infatti di goliardico non ha proprio nulla: non provate nemmeno a pensarlo. Una banana marcia dentro un sacchetto dell’umido come regalo di Natale da parte di un compagno di squadra - per la tradizionale cerimonia del Secret Santa in voga in molte squadre - non è goliardia. È solo una schifezza, inaccettabile. Un becero atto di razzismo e stop. Se leggete bene il suo sfogo, e non avete la sensibilità di un minerale, riuscirete anche voi a scorgere il nodo in gola di questo omone di fronte a un’umiliazione, amplificata dalla reazione di alcuni giocatori. «La cosa che mi ha fatto più male - scrive a un certo punto Traoré - è stata vedere la maggior parte dei miei compagni presenti ridere. Come se tutto fosse normale». Sarebbero seguite - tutto già visto tante altre volte - le scuse, il perdono, l’abbraccio al colpevole, la presa di posizione della società. Dalla quale, però, adesso è lecito attendersi un provvedimento esemplare. Così come dalla Federazione. Perché se questi episodi finiscono poi a tarallucci e vino - o a soppressa e prosecco, come si usa dalle parti di Treviso,
Le scuse e i pentimenti postumi non bastano più: non si può fare finta di niente
magari nel tradizionale terzo tempo che in genere fa del rugby un’isola a sé - vuol dire che non si è capito nulla, che si prepara il terreno ad altri episodi del genere. Soprattutto che si fa del male al rugby stesso, da sempre considerato come il tempio del fair play per antonomasia e ora messo in pessima luce da un episodio che ne mina i valori costruiti negli anni, spesso presi, giustamente, ad esempio. E si fa del male al club trevigiano, legato a quella azienda Benetton, basta la parola - che storicamente ha associato il proprio marchio a campagne antirazziste.
Non si può far finta di niente. E non dite che il compagno di Traoré è scivolato su una buccia di banana. Non è così.