La Gazzetta dello Sport

Varese attacco esplosivo Una rinascita firmata Brase

Tiro rapido e ausilio informatic­o: con il coach Usa dopo 4 anni in Coppa Italia. Ross, Brown e Johnson tra i migliori cannonieri

- Di Andrea Tosi

Boom boom Varese. La qualificaz­ione alle Final Eight di Coppa Italia della squadra di Luis Scola e di coach Matt Brase fa rumore perché colma un vuoto di 4 anni durante i quali il club dei 10 scudetti e delle 5 Coppe Campioni ha vissuto nelle retrovie del basket italiano. E fa tanto più rumore per come è stata conquistat­a sull’onda di un attacco esplosivo che produce 92,9 punti di media, di gran lunga il più prolifico della Serie A, frutto del gioco impostato dal nuovo corso tecnico che lascia ai giocatori, a cominciare dagli americani, grande libertà di creare gioco e andare a canestro senza curarsi del cronometro e dei tatticismi. Discepolo e allievo di coach D’Antoni, il debuttante Brase ha importato in Italia il sistema del tiro rapido sul modello del “7 seconds or less” per avere più possessi lungo tutta la partita. Una strategia che finora gli ha dato ragione e che, come primo corollario ai risultati sul campo

ridato entusiasmo nell’ambiente un po’ depresso da stagioni sul filo della salvezza segnate da troppi cambi di panchina fino riportare l’esaurito al palasport nelle ultime tre partite casalinghe.

Tre punte

La filosofia di questa rivoluzion­e offensiva si legge nelle classifich­e individual­i dove Varese ha collocato stabilment­e le sue tre prime punte tra i primi 11 cannonieri del campionato. Il play Colbey Ross, cresciuto in Colorado e uscito da Pepperdine University e arrivato in Italia via Repubblica Ceca, è terzo con 18 punti di media; la guardia Markel Brown, seconda scelta Nba 2014 di Brooklyn e poi girovago per mezza Europa, è sesto con 16,5 punti; l’ala piccola Jaron Johnson, altro globetrott­er passato da Australia, Israele, Francia e Russia, è undicesimo con 15,6. I tre tenori però non sono soli. Dietro di loro c’è un coro che fa molto volume col tiro da due, altra classifica che vede Varese davanti a tutti col 56,8% sfruttando l’alta precisione dei suoi lunghi Willy Caruso (70,6%) e Tariq Owens (60,6%) nelle conclusion­i ravvicinat­e. Il dogma è non perdere tempo con palleggi o gestione del pallone, il primo tiro buono va preso. Se c’è un aspetto che colpisce vedendo giocare Varese è che nessuno rifiuta tiri aperti, tutti hanno l’opportunit­à di segnare. Anche i gregari si esaltano in questo sistema molto diverso dalla routine del basket italiano. E va sottolinea­to che da un mese è fuori Justin Reyes per infortunio, un altro esterno capace di fare canestro. Come l’azzurro Thomas Woldetensa­e, un mancino specializz­ato in triple che il c.t. Pozha zecco tiene d’occhio.

Le analytics Il comune denominato­re di questa squadra sono le radici del tecnico e degli americani, tutti cresciuti nel sommerso dei circuiti Usa e Europa. Non ci sono stelle ma giocatori che hanno talento per emergere dovunque. Anche il giemme Michael Arcieri viene da incarichi in Nba poco visibili ma che gli hanno consentito di portare a Varese un “know how” di informazio­ni e un metodo per rilevare i progressi dei giocatori basato sulle “analytics”, statistich­e avanzate sui singoli e tutte le combinazio­ni di quintetti in certe zone del campo e in particolar­i situazioni tattiche. Uno studio approfondi­to che viene seguito da un esperto informatic­o. I dati raccolti vengono esaminati da Brase che li adopera per impostare il lavoro in palestra dei giorni seguenti e la prossima partita. A Varese il futuro è adesso.

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