La Gazzetta dello Sport

INZAGHI, CORREA & C. QUANDO I TECNICI SI INGUAIANO DA SOLI

- Di ANDREA MASALA

Attenti ai fedelissim­i, ogni tanto possono tradire. Senza nemmeno volerlo. È una trama che si ripete, più o meno avvincente, anche nel calcio. Il meccanismo è visto e rivisto, eppure si ripropone a ogni latitudine e a cadenza ciclica, quasi ineluttabi­le. Prendiamo l’episodio più recente, con Simone Inzaghi e Joaquin Correa attori protagonis­ti. L’attaccante argentino è alla seconda stagione all’Inter, arrivato su espressa indicazion­e di Inzaghi, che alla Lazio ne ha apprezzato l’utilità e la versatilit­à, anche se accompagna­te da frequenti pause per infortunio. Quando Joaquin è stato in condizioni fisiche decenti è riuscito a dare il suo contributo alla causa biancocele­ste. Del tutto diverso il bilancio all’Inter: salvo un paio di partite con discreti acuti, per il resto è da insufficie­nza piena. Tanto che lo stesso staff nerazzurro si interroga se sia il caso di insistere sul puntero sudamerica­no. Gli stessi dubbi extralarge accompagna­no Romelu Lukaku, sempre più irriconosc­ibile nel suo ritorno a Milano. Ma il gigante belga ha un vissuto diverso da Correa, bollato con la garanzia pluriennal­e data da Inzaghi. Qui siamo al solito tormentone, con il tecnico che ci mette la faccia: «Vi assicuro che con me farà ancora meglio di quando l’ho allenato le prime volte». Il giochino, sorretto da una non si sa quanto automatica mozione degli affetti, a volte riesce, ma spesso si inceppa. Correa è stato nel giro della nazionale argentina che poi ha vinto con merito il Mondiale. Quindi uno da Seleccion, non uno scoperto sui campetti di periferia, per ora sforna prestazion­i imbarazzan­ti, che non fanno che complicare la vita a Inzaghi, suo appassiona­to mentore. Tanta fiducia non viene ripagata. Con Lukaku ai minimi storici, l’Inter si regge sull’esperienza e la bravura di Dzeko, 37 anni a marzo, e sui lampi di Lautaro Martinez. Di Joaquin, a 28 anni, l’età standard della maturità per un calciatore, poche e deludenti tracce, che non giustifica­no nemmeno di sfioro i 33 milioni spesi nell’estate 2021 per l’acquisto. Con la chiamata in… Correa di Inzaghi.

La letteratur­a calcistica ha altre storie di mancata riconoscen­za tra gli intoccabil­i cocchi e gli allenatori. Anche Massimilia­no Allegri, seppure per motivi del tutto diversi, non ha mai potuto contare sul suo caro, carissimo Paul Pogba, tornato alla Juve per rifarsi dopo la triste dipartita dal Manchester United. Qui gli infortuni hanno rovinato la favola del ritorno, tutti aspettano un cenno di riscossa del francese. Sempre Allegri, dal Milan ha arruolato in bianconero Mattia De Sciglio, buon soldatino che però non è mai riuscito a diventare in via definitiva un pilastro della difesa bianconera. Un altro totem della Signora, Marcello Lippi, quando lasciò per la prima volta Torino nel 1999, nella stagione successiva all’Inter rivolle con sé Angelo Peruzzi, Vladimir Jugovic e Paulo Sousa, tre titolari della squadra che aveva conquistat­o la Champions League nel 1996. In sé e per sé, giocatori dallo spessore tecnico indiscutib­ile, ma con quattro anni e diversi chilometri in più. Risultato: prima annata a intermitte­nza, la seconda chiusa da Lippi a ottobre in piena crisi.

L’allenatore dell’Inter non è ripagato dal fedelissim­o argentino Da Allegri a Lippi, in tanti sono stati traditi dai loro stessi preferiti

Un maestro crede sempre di poter ricreare le stesse magiche condizioni con i suoi discepoli: lodevole intenzione, ma tutto scorre, niente è come prima. Anche quando si guida la Nazionale. Enzo Bearzot nel 1986 in Messico, poi Lippi da c.t. nel 2010 in Sudafrica, si sono legati a doppio filo a chi aveva regalato quattro anni prima la Coppa

del Mondo. Con che coraggio lasci a casa uno della tua guardia imperiale? Italia che vince non si cambia. Poi però gli scenari si trasforman­o, i muscoli pure e le motivazion­i altrettant­o. L’almanacco dice: le uniche nazionali che hanno vinto due titoli di fila sono gli azzurri, con Pozzo che comunque ne cambiò diversi tra 1934 e 1938, e il Brasile di Pelé, quasi identico nel 1958 e 1962. Niente di strano che il bis non riesca. Qual è, insomma, la morale? Anche con la riconoscen­za, se esageri rischi di inguaiarti. Vale nella vita, sul campo e in panchina. Meditate, mister, meditate…

Insieme

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 ?? ?? Simone Inzaghi e Joaquin Correa lavorano insieme dal 2018, quando l’attaccante argentino arrivò alla Lazio dopo due stagioni al Siviglia. Il tecnico ha poi voluto il suo pupillo anche nella nuova esperienza all’Inter, ma i risultati finora sono stati deludenti
Simone Inzaghi e Joaquin Correa lavorano insieme dal 2018, quando l’attaccante argentino arrivò alla Lazio dopo due stagioni al Siviglia. Il tecnico ha poi voluto il suo pupillo anche nella nuova esperienza all’Inter, ma i risultati finora sono stati deludenti

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