Braida contro Galliani Ma anche stavolta saranno abbracci
Era un gelido inverno, sempre che esistano inverni non gelidi a Kiev, ma a Adriano Galliani, che pure non è nato a Tahiti, il freddo allo stadio sembrava davvero insopportabile. E neppure lo spettacolo gli piaceva granché. «Ariedo, sei sicuro che sia quello buono? Sei sicuro che non dobbiamo prendere l’altro?». «Tranquillo boss, è quello buono». Personaggi e interpreti di un grande affare, oltre a Galliani e al suo braccio destro Ariedo Braida, il futuro milanista Andriy Shevchenko e l’altro talento della Dinamo, Sergiy Rebrov. Ora Galliani è ad del Monza, Ariedo si è staccato dal territorio berlusconiano ed è consulente della Cremonese. Per la prima volta si incrociano in Serie A. Giusto per completare l’aneddoto, quella sera la Dinamo battè il Panathinaikos, Galliani tornò in albergo e si mise a dormire col cappotto addosso, però alla fine della stagione Andriy Shevchenko atterrò a Milano come un amabile disco volante. Ariedo era stato convincente.
Decide il boss
E lo è sempre stato, in decenni di collaborazione intensa, di cene, di notti passate a parlare di calcio mercato, di sostegno reciproco e mai banale. Come quando Berlusconi accusava più o meno scherzosamente Braida di aver sbagliato quel giorno a Bordeaux, portando al Milan Dugarry invece di Zidane. Ariedo in questo tipo di discussione restava defilato, perché c’era il boss sul palcoscenico. Il boss, come lo ha sempre chiamato, ovvero il referente diretto, ma anche l’amico, l’altrà metà della coppia. Galliani e Braida hanno messo a segno insieme colpi di mercato indimenticabili, da Van Basten in poi. Sono stati per trent’anni una specie di entità unica. Perché la loro collaborazione diventata poi una specie di simbiosi non è certo nata negli anni dello splendore milanista. Molti ricordano l’episodio del contratto di Frank Rijkaard nascosto dentro i pantaloni da Braida, perché come ha raccontato più volte anche Galliani bisognava pur uscire interi dallo stadio dello Sporting Lisbona. Ma la collaborazione e l’amicizia indistruttibile fra i due era cominciata molto prima. Al Monza, guarda caso. Perciò neppure questo, come quello con il Milan, sarà un incrocio banale per i due.
Rivali mai
Non potranno mai essere rivali, anche se adesso non lavorano più per lo stesso club, così come non sono mai stati capo e numero due. Al Milan le gerarchie sono sempre state chiare, se parlava Berlusconi non parlava Galliani, e Braida parlava raramente in ogni caso. Lo faceva soprattutto se si trattava di raccontare la sua passione per l’arte, soprattutto per l’arte contemporanea, che era molto più di un hobby. Diversi per molti aspetti, Galliani e Braida lo sono sempre stati anche a tavola: Ariedo supersalutista, Galliani gran buongustaio. Complementari, anche in questo caso. Inseparabili a tavola dopo centinaia di partite, «e non sono mai riuscito a pagare una volta», ha raccontato Braida. Se il Milan aveva vinto, ascoltavano (e Galliani cantava) Renato Zero. E se uno dei non era seduto a tavola insieme all’altro partiva il tam-tam: stanno facendo qualcosa di mercato, Ariedo è in Brasile, in Portogallo, in Spagna, chissà. E Galliani si divertiva a seminare indizi.
Bromance
C’è chi scopre l’amicizia dopo incomprensioni e sgarbi, ma di momenti difficili fra Galliani e Braida ce ne sono stati ben pochi. Nell’intervista concessa alla Gazzetta due giorni fa, Galliani ha definito Braida «un fratello». Non solo Van Basten, Shevchenko, Kakà, non solo le coppe dei campioni vinte e le delusioni. Galliani e Braida hanno macinato migliaia di chilometri in aereo e in auto, sono stati vicini di casa e tuttora vivono nello stesso quartiere di Milano. Oggi allo stadio si abbracceranno prima della partita e anche dopo, qualsiasi cosa accada. Non saranno seduti uno accanto all’altro, perché queste sono le regole del gioco. Sarà difficile non sbagliare fila in tribuna.
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