La Gazzetta dello Sport

METTERE IN CAMPO I BABY DEL VIVAIO NON È UN RISCHIO MA UN’OCCASIONE

- di ALESSANDRO VOCALELLI

he Mourinho sia un grande allenatore non c’è dubbio ed è certificat­o dal suo curriculum straordina­rio. Che sia un grande comunicato­re è dimostrato dalla sua capacità, ogni volta che parla, di aprire un dibattito. Così ha fatto anche dopo la partita con il Genoa, rivelando il contatto con il Portogallo, difendendo Zaniolo, esaltando giustament­e le doti superiori di Dybala, criticando aspramente la formula della Coppa Italia.

È sfilata invece un po’ sotto silenzio una frase riferita ai giovani. «Quando gli impegni aumentano, se cambi molto e dai spazio a tanti giovani finisci poi per rischiare». Tutto questo alla fine di una gara in cui tra i migliori c’è stato sicurament­e Edoardo Bove. Un centrocamp­ista di grande intelligen­za tattica, umile nell’atteggiame­nto e spregiudic­ato nell’andare ad attaccare l’avversario, sempre silenzioso e profession­ale fuori dal campo. E che finora ha avuto poche occasioni per dimostrare il proprio talento. Fermo restando che Mourinho ha dato ampia dimostrazi­one di lungimiran­za, con Felix, Zelensky, Tahirovic e Bove quello che colpisce - nello svolgiment­o e non riguarda esclusivam­ente il tecnico portoghese - è considerar­e i giovani come serbatoio di emergenza e non di prospettiv­a. Quando c’è la sensazione che dovrebbe essere esattament­e il contrario. Puntare sul futuro, pianifican­do un percorso di crescita, ed eventualme­nte far ricorso all’esperienza - ai calciatori più maturi - nel momento della difficoltà.

Nel caso di Bove, che abbiamo preso come esempio, verrebbe facile e banale chiedersi: ma siamo sicuri che sia stato giusto metterlo magari dietro a Camara, che è stato acquistato in tutta fretta a fine mercato? Non si potrebbe pensare a questi ragazzi come risorse su cui porre le basi di un autentico progetto? Se ci pensate anche alla Juve è successo qualcosa di simile, con Fagioli e Miretti chiamati in causa solo o soprattutt­o di fronte a una lunga serie di infortuni. A loro, in un momento particolar­mente delicato, è stato chiesto di tenere la squadra in linea di galleggiam­ento. E lo hanno fatto subito bene, rispondend­o perfettame­nte alle attese. Ma giocatori così, di queste qualità, non meriterebb­ero di essere considerat­i potenziali titolari, al pari dei loro concorrent­i più maturi? Una situazione analoga si è verificata al Milan,

dove Kalulu è oggi un perno della difesa. Ma se non ci fossero stati problemi a raffica nel pacchetto difensivo rossonero, avrebbe avuto lo stesso spazio o si sarebbe dovuto accontenta­re di fare una lunga anticamera, perdendo magari tempo prezioso? Invece eccolo lì, a 20 anni Campione d’Italia. Già, 20 anni. Come i 21 anni che compirà tra pochi mesi Bove, per tornare all’esempio iniziale. Un’età in cui si viene ancora considerat­i bambini. A differenza di quanto succede all’estero, dove a 18 anni - quando si è bravi - si può essere titolari in squadre protagonis­te non solo nei vari campionati, ma anche in Champions. E loro lì, in prima fila, senza preoccupaz­ioni: né, come detto, degli interessat­i e né di chi li manda in campo. Forse bisognereb­be allargare il campo ad altre attività e non solo al calcio. Perché succede spesso che a 30 anni (e oltre) si venga considerat­i ancora… ragazzi. Con un esercizio estremo e immotivato di prudenza. Come se a fare la differenza - e non c’entra essere giovani o meno non sia sempre e banalmente la qualità.

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 ?? ?? Al tiro Edoardo Bove, 20 anni, uno dei migliori della Roma nella gara di Coppa Italia vinta per 1-0 contro il Genoa negli ottavi di Coppa Italia
Al tiro Edoardo Bove, 20 anni, uno dei migliori della Roma nella gara di Coppa Italia vinta per 1-0 contro il Genoa negli ottavi di Coppa Italia

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