La Gazzetta dello Sport

«Un ricordo felice? Todt «Amava la Ferrari e adorava Schumi Un uomo di classe tifoso più di noi»

Quando nel ‘95 con Montezemol­o e Michael, appena preso, andammo a trovarlo sulla sua barca» Il francese, a capo della rossa vincente negli Anni 2000: «Viveva male gli insuccessi ma ci aiutava sempre. Era dotato di un prestigio e un carisma irripetibi­li»

- Di Gianluca Gasparini

«Che ricordo ho di Gianni Agnelli? Quello di un vero signore. Spesso penso ai personaggi che hanno lasciato una traccia significat­iva in passato. C’erano Onassis, l’Avvocato, uomini di alto livello. Lui dettava le tendenze: come vestiva, l’orologio sopra il polsino, lo “stile Agnelli” si diceva. Non se ne trovano più, oggi c’è Elon Musk ma non sarà certo una sua maglietta a diventare indimentic­abile. Quando Lapo veniva a mangiare a casa mia a Maranello era orgoglioso di portare le camicie del nonno. Agnelli aveva classe». Jean Todt, 76 anni, oggi inviato speciale delle Nazioni Unite per la sicurezza stradale dopo essere stato fino al 2021 presidente della Fia (Federazion­e Internazio­nale Auto), ha guidato la scuderia Ferrari dal 1993 al 2008. In quella veste ha avuto spesso a che fare con l’uomo che del Cavallino era il maggior azionista. E senza dubbio anche il suo primo tifoso.

Quando ha incontrato Agnelli di persona la prima volta?

«Dopo la mia assunzione in Ferrari. Ovviamente lo conoscevo di fama, un aristocrat­ico dotato di grande leadership ed eleganza. Me ne parlò per primo un amico, Jacky Setton, che era legato all’Avvocato con cui aveva tante passioni in comune, soprattutt­o la vela. Jacky disse ad Agnelli: “Se vuoi riportare la Ferrari al vertice della F.1 devi prendere Jean Todt”. Allora ero a capo del reparto corse Peugeot. Non so se fece effetto, ma nell’agosto del 1992 ho incontrato Luca di Montezemol­o a casa sua a Bologna. Abbiamo trattato a lungo, nel marzo successivo ci siamo messi d’accordo e il 1° luglio 1993 sono arrivato a Maranello. Qualche giorno dopo Agnelli mi ha chiamato per darmi il benvenuto e sapere cosa avevo in mente per la rossa. È stato un momento, non so come dire... mi sono sentito onorato, ecco».

3Telefonav­a

anche a lei molto presto al mattino come usava fare con amici, tecnici e calciatori?

«Poco. Ma chiamava quasi ogni giorno Montezemol­o. Il legame con la Ferrari passava da Luca, che gli diceva cosa succedeva alla Gestione Sportiva».

3Come se lo ricorda riguardo alla Ferrari? Interessat­o? Dava consigli? «Appassiona­to. Per lui il successo del Cavallino era qualcosa di molto importante. Voleva essere informato sulle scelte strategich­e, lo incuriosiv­ano l’andamento delle gare e la scelta dei piloti. Ricordo quando nel 1995 abbiamo trattato con Schumacher per portarlo a Maranello, qualche settimana dopo la firma siamo andati a incontrare l’Avvocato sulla sua barca a vela a Saint-Jean-Cap-Ferrat. In costume da bagno su un tender con Walter Thoma, allora capo della Philip Morris, Montezemol­o, Michael che era pilota Benetton e stava lottando per il Mondiale - e il sottoscrit­to. Avevamo chiuso il contratto a inizio agosto e ci siamo presentati a fine mese da Agnelli. Voleva conoscere Schumi come un tifoso».

3Giorni prima l’Avvocato si era lasciato scappare la notizia di quell’ingaggio: la fece un po’ arrabbiare?

«Mi fece molto arrabbiare! Noi avevamo una politica che prevedeva la massima riservatez­za e lui ogni tanto faceva uscire una storia, scatenando i giornalist­i. Ma era il suo stile, accettato da tutti. E poi, in un certo senso, ne aveva tutti i diritti... (sorride)».

3Cosa voleva conoscere dei piloti?

«Soprattutt­o l’ambizione per conquistar­e il risultato. Il primo che l’ha davvero interessat­o è stato Michael: gli fece realmente capire che, con un pilota del genere, la rossa cambiava passo, e questo lo affascinav­a. Quando incontrava­mo Agnelli a Torino, nelle riunioni per definire il budget al Lingotto, voleva sempre dare alla Ferrari ciò che serviva per portare a casa il massimo».

3Cosa

«Quando ai test si capiva che stava arrivando ci organizzav­amo e lui parlava con chi voleva, principalm­ente i piloti, sempre senza troppi freni... E poi veniva a uno o due GP all’anno: lì faceva più effetto perché con il suo prestigio e il suo carisma attirava grande attenzione nel paddock, era un po’ come l’arrivo di un capo di stato».

succedeva quando si presentava in pista? 3Come aveva accolto la riconquist­a del titolo dopo 21 anni?

«Viveva male gli insuccessi, si capiva benissimo che per lui era importante vedere una Ferrari tornare a vincere, gli stava a cuore. Quando nel 2000 ce l’abbiamo fatta è stato un sollievo. Era il motivo per cui siamo stati assunti, io per primo. Non ricordo se ha telefonato, quel giorno in Giappone, ma sicurament­e avrà cercato Michael con cui voleva parlare spesso. Organizzav­amo le loro agende in parallelo, perché potessero sentirsi. Schumacher non veniva spesso in azienda a Maranello, Agnelli lo chiamava a casa. Ma Michael, che era riservato, non mi raccontava mai i dettagli delle loro conversazi­oni».

3Quanto vi ha aiutato Agnelli negli anni in cui il titolo non arrivava?

«So che era deluso, non era l’unico. Ma non entrava nelle questioni operative, non era quello che prendeva provvedime­nti. Era impaziente, voleva i risultati ma ascoltava con disciplina ciò che veniva deciso, non credo abbia mai detto “cambiamo questo o quello”».

3C’è un aneddoto legato all’Avvocato che ricorda con maggior piacere?

«Beh, quel giorno di fine agosto con Schumacher sulla barca è rimasto nei miei ricordi più belli. Poi un incontro nella sua casa di Roma: restai impression­ato da questa abitazione con diversi quadri di arte contempora­nea, che amo molto. E non posso dimenticar­e la sua creatività, anche con le auto: a Montezemol­o, per il matrimonio, regalò una Ferrari 8 cilindri Spider che aveva fatto modificare di persona. La sua era creatività per le cose belle».

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