ZANIOLO, UNA STORIA SENZA MEZZE MISURE E CON TANTI EQUIVOCI
Prima ancora d’essere un calciatore che cambia maglia e vola a Istanbul (dove delizierà o farà imbestialire gli immaginifici ultras del Galatasaray), prima ancora d’essere una (brutta) storia, Nicolò Zaniolo è un sintomo (in quanto tale, parzialmente innocente). Un compendio esemplare del peggio, sintesi da manuale della patologia che sta ammorbando il pallone italiano. A cominciare dalla vera lebbra, lo smisurato (e sregolato) potere dei procuratori e, di conseguenza, dei loro pupilli.
Non manca nulla nella faccenda Zaniolo. A cominciare dalla sua epifania. Il ragazzo non si è ancora mostrato che Mancini lo convoca in Nazionale, la stampa lo celebra, i tifosi lo idolatrano. Parte facile l’habemus: «Ecco il nuovo Totti». Risultato: l’oro presunto del ragazzo viene scambiato per oro reale. Il ragazzo non ha fatto vedere nulla ed è già un’allucinazione collettiva. Tutti o quasi si congratulano con l’audacia di Mancini, strapiace e fa consenso il “largo ai giovani”. Piccolo problema: non tutti i giovani sono uguali. Ognuno ha la sua testa. Ognuno ha il suo ambiente. Per capirci, il troppo amore ti può salvare o ti può precipitare. Nicolò è un ragazzone fragile, emotivo, umorale. La sua testa parte come una mongolfiera. Decolla. Due incidenti in sequenza lo riportano a terra. Scopri che il mondo è una gabbia brutale, hai voglia di spaccare il mondo, intanto ti spacchi tu e la tua testa non sa più dove pescare, se in paradiso o negli abissi. Intanto, un guaio serio l’abbiamo combinato. Il ragazzo penzola pericolosamente tra l’illusione di credersi una divinità e il sospetto di essere niente, meno di zero. Abbiamo creato un soggetto instabile e dunque vulnerabile. Voglia di mostrare, voglia di spaccare, voglia di strafare. Non sei più parte di un mondo, ma sei l’universo mondo. Il tuo ego non è più una personalità in formazione, ma una mina che ti esplode ogni santo giorno in petto. Hai voglia a smisurarlo il torace, per quanto grande in palestra non lo è mai abbastanza nella vita.
Prosegue intanto la storia da manuale, di cui non sappiamo se, quando e quanto sarà lieto il fine. La notte di Tirana. Il ragazzo infila con destrezza la porta dell’olandese e torna eroe. Il mondo torna ai suoi piedi. Sale sul carro del vincitore, cioè sé medesimo, e festeggia come sempre esagerato al Colosseo. Sono in tanti su quel pullman, in realtà è lui solo.
Sbornia e onnipotenza. In un mondo normale sarebbe sensato affrontare l’argomento del rinnovo del contratto a sei mesi dalla scadenza, non due anni prima. Quello del pallone non è un mondo normale. Il tormentone si fa tormento. Nicolò o chi per lui reclama, cifre che sono spropositi, la società (legittimamente) esita, si domanda. Si domanda? Nicolo o chi per lui si sente sminuito, forse maltrattato. Arriva Dybala e il popolo delira. Delirio oltraggioso: non ero io, Nicolò, la divinità in giallorosso? Tutti tornano a dubitare di me, anche Mourinho dubita, i tifosi dubitano, io stesso dubito, ma non lo devo sapere. Adesso mi fischiano anche. Devo cambiare aria, strappare e poi cambiare maglia. Sono lo strapagato dipendente di un team, ma mi sento libero di chiamarmi fuori. Una volta si
Dalla convocazione in Nazionale all’amore e poi lo strappo con la Roma, la parabola di Nicolò è tempestata di illusioni ed eccessi
chiamava ammutinamento e le conseguenze erano severe, anche senza essere a bordo del Bounty.
Oggi non puoi farci nulla, devi prendere atto. La Roma subisce. Calciatori e procuratori comandano, la nave va dove vogliono loro. Nicolò Zaniolo, il sintomo, detta legge. Una storia esemplare. Mancava solo una cosa per completare il quadro: la lettera d’amore da pubblicare sui social (un tempo era almeno più costoso, si comprava la pagina di un giornale) ai tifosi sedotti e abbandonati. Oggi abbiamo anche quella. La lacrima virtuale.