Manita al Real e partite perfette Milan, quante imprese in casa
Se l’Europa è il giardino del Milan, San Siro è il suo roseto: è qui che sono sbocciati i fiori più belli, in quella strana primavera delle notti di Champions che comincia a febbraio, al passo di “dentro o fuori”, e finisce a maggio in una capitale europea. Quel cammino il Milan lo ha percorso undici volte, e in sette occasioni si è preso l’Europa. Ma è in casa che il Diavolo ha spesso cominciato ad allungare le mani sulle orecchie della coppa più bella: dalle grandi abbuffate della prima Coppa Campioni nel ‘63 (manita al Galatasaray e poi al Dundee tra quarti e semifinali), al 3-0 senza appello sul Monaco, aprile ‘94, prima del poker al Barcellona di Cruijff che parlava da già da campione, la storia del Milan è piena di notti così. E sì, anche di favori del pronostico per gli avversari ribaltati dai rossoneri: del resto, per scrivere la storia, da qualche parte bisogna pur cominciare...
Manita Real La Champions è il torneo dei dettagli. Il dettaglio del Milan che si presenta al Meazza il 19 aprile 1989 ha il numero 11 sulla schiena ma non è un esterno: Carletto Ancelotti è il primo a bucare la porta del Real Madrid nella semifinale di ritorno della Coppa Campioni. E poi Rijkaard, Gullit, Van Basten e Donadoni. Cinque a zero e Madrid cancellato: il Milan degli Immortali trionferà nella finale del Camp Nou, 4-0 alla Steaua Bucarest. «In allenamento chiedevo la massima intensità — ha raccontato Arrigo Sacchi —, così succede che il giovane Albertini entra in tackle su Evani e lo mette ko. Chiamai i giocatori di cui mi fidavo di più e mi confrontai con loro sul da farsi. C’erano scelte più logiche, ma alla fine decisi da solo, battendo la strada più illogica: Ancelotti largo a sinistra. Il gruppo seguiva uno spartito, giocammo una partita straordinaria». Organizzazione e motivazioni, perché sull’1-1 dell’andata pesava un gol annullato a Gullit per fuorigioco: «Ci avevano derubato, ma non protestammo. Iniziammo a pensare al ritorno...».
Pathos e perfezione
Come il 23 aprile 2003, ritorno dei quarti contro l’Ajax. Il Milan di Ancelotti ha dato spettacolo nella prima parte del torneo, ma quella è un’edizione particolarmente lunga: due gironi (in cui Shevchenko e compagni mettono sotto, tra le altre, Bayern, Real e Borussia Dortmund) e poi finalmente tabellone ad eliminazione diretta. In Olanda è 0-0, il Milan ha perso brillantezza in campionato e in coppa non sembra più lo squadrone travolgente dell’autunno. A San Siro si soffre: Inzaghi e Sheva portano avanti due volte i rossoneri ma Litmanen e Pienaar rimettono in equilibrio la partita. E quasi strappano il biglietto per le semifinali: in caso di 2-2 passerebbero per aver segnato in trasferta. Al 91’, dopo una serie di occasioni sprecate dai rossoneri, ecco la magia: Maldini crossa, torre di Ambrosini per Inzaghi che si inventa un pallonetto. Il pallone non entra mai, lo spingono i 76mila di San Siro e pure il piede di Tomasson, che fa 3-2. Sarà l’ultimo successo nei 90 minuti: il derby di semifinale premia i rossoneri con un doppio pareggio e il trionfo sulla Juve a Old Trafford si materializzerà ai rigori. Quattro anni dopo, altra notte indimenticabile: al Meazza arriva il Manchester United di Ronaldo, che ha vinto 3-2 a casa sua. Gli inglesi partono favoriti, serve un’impresa, serve la partita perfetta. Ed è così che la notte del 2 maggio 2007 passerà alla storia: sotto una pioggia inglese, Kakà, Seedorf e Gilardino schiantano la banda Ferguson e volano ad Atene, a giocarsi (e prendersi) la rivincita con il Liverpool della finale persa due anni prima. Il Milan, penalizzato dai fatti di Calciopoli, era partito dai preliminari e Ancelotti dice: «Questo risultato ci ripaga dopo di tutto quello che è successo. Sembrava impossibile arrivare in finale e invece...».
Vedo un enorme valore e una traiettoria di crescita sia per il Milan che per tutta la Serie A Gerry Cardinale Nei mesi scorsi
L’ultimo sorriso
Stasera, Pioli e i suoi giovani diavoli tenteranno una doppietta niente male: battere il Tottenham e uscire dalla crisi, tutto in una notte. Non sarà facile, perché l’avversaria ha ritmo e qualità (oltre che un maestro in panchina come Conte) e perché il Milan non gioca un ottavo di finale da nove anni. Quella volta, contro l’Atletico Madrid, andò male. Meglio guardarsi indietro e tornare al 15 febbraio 2012: 4-0 rossonero all’andata degli ottavi, un paracadute sufficientemente grande per attutire lo 0-3 del ritorno. C’era Ibra, il Milan aveva lo scudetto sul petto e di fronte aveva una inglese, l’Arsenal. Capito, Pioli?