Ottant’anni e mille storie «I miei GP in una F.1 eroica Salvare Lauda la vera impresa»
L’Arturo festeggia nel suo capannoncino, come lo chiama lui: «Eh, mi son tenuto un tornietto, una fresa. Per fare le mie cose». Gli 85 GP (57 partenze) in F.1 sono nulla in confronto all’infinità di altre gare che ha corso e vinto. Alla vita di Arturo Merzario. Che oggi compie 80 anni. Orgogliosamente Laghee, uomo del Lago di Como, Arturo è un fantastico ufficio stampa di se stesso. Ricorda tutto e racconta.
►La sua prima macchina?
«Non avevo neanche la patente, usavo quelle di mio fratello, Giorgio, che è morto a militare, in un incidente a Montorfano Veronese, il suo ultimo giorno di ferma. Io correvo già in moto. Poi i miei mi hanno regalato una Giulietta Spider 1300, roba di lusso. Nel 1962 ci ho corso la prima gara a Monza. Era la Coppa Fisa: su 32 partenti sono arrivato ottavo con la macchina con su la radio. Ci facevo le corse e ci andavo a donne .... Funzionava. Figurati: gli altri andavano in bici...».
►Quando ha capito di poter fare il professionista?.
«Al Nürburgring nel 1963. Non mi sembrava vero di poter guidare a sinistra, senza paura che arrivasse una corriera, come sulle mie strade, sul lago. Ho battuto tutti i suoi piloti, e allora Carlo Abarth mi ha ingaggiato. Solo che c’era il militare. Ho cominciato solo nel 1967».
► Poi il 3° posto all’Europeo Turismo e la Ferrari.
«Nel 1969: mi sembrava un traguardo irraggiungibile. E invece grazie al mio piede destro ignorante ero lì. Facevo il pilota di F.1, il collaudatore, il postino, tutto: come usava allora».
►Com’era il rapporto con Enzo Ferrari?
«In un’intervista l’ho definito un delinquente. Era successo un po’ un casino. Ma lui aveva capito cosa intendevo. Quando mi ha ingaggiato mi ha detto, in dialetto modenese: “I piloti vanno e vengono: la mia fabbrica resta qui”. Ma mi stimava. Nel 1973 con la sua benedizione io e Mauro Forghieri siamo andati a fare un test da soli a Zeltweg con la vettura di F.1 sul carrello trainato da una 124. Guidavo io. E dopo il 2° posto a Le Mans, dove avevo rischiato la vita per una perdita che mi aveva inondato di benzina l’abitacolo, mi ha dato dell’asino. Per lui avrei dovuto ritirarmi. Meglio che 2°»
►Mai avuto paura?
«Sì, sempre. Anche in autostrada da Milano a qua, a Carate Brianza. Figuriamoci in gara. Paura non di morire. Perché se te moeret te moeret, se muori muori. Avevo e ho paura di restare invalido. Il pilota che dice di non aver paura dice fesserie».
►Non si può non parlare del Nürburgring nel 1976: del rogo da cui salvò Niki Lauda.
«È stato uno dei momenti che segnano una vita. La mia e la sua. Se Niki ha vissuto ancora 40 anni è grazie alla follia dell’Arturo. Perché bisognava essere matti per fare quel che ho fatto. Io sono credente, non praticante: penso che qualcosa mi abbia detto di fermarmi. Poi quel Ron Howard ci ha fatto su un romanzo tutto sbagliato bel film: una somarata».
►Potevano citarla come l’eroe di quel giorno.
«Mi avrebbe fatto piacere».
►Cosa le è mancato in carriera?
«Ho avuto tutto e di più, nella carriera e nella vita. Sono super fortunato, anche solo per esserci ancora. Della mia generazione siamo rimasti Andretti, Stewart e io. Tante volte mi è capitato di essere al posto giusto nel momento sbagliato. Ho paura che anche per Leclerc sia così...».
► Abbiamo detto della prima corsa. E l’ultima?
«A settembre, a Goodwood. Ma l’anno scorso ho fatto anche una gara vera, al Nürburgring, per il 50° del motorsport BMW, con la M2. A due giri dalla fine ero terzo, potevo andar sul podio a 79 anni. È uscita la safety-car, alla ripartenza mi hanno passato in due... Adesso faccio le gare della mutua, coi prototipi e le F.1 storiche. Ma guido la Ferrari di Phil Hill del 1961, la Lotus 21 di Jim Clark. Cosa voglio di più?».
Dall’apprendistato sul suo lago di Como, «schivando le corriere», alla Ferrari «Tutto grazie al mio piede ignorante»