La Gazzetta dello Sport

«Vittoria speciale è un maestro di bel gioco e idee»

- di Andrea Schianchi

C’è qualcosa di speciale in questo scudetto del Napoli, il terzo dopo i due dell’era Maradona. Arrigo Sacchi non ha dubbi nell’etichettar­e questo «qualcosa di speciale» con la parola «collettivo» e spiega il perché: «Prima il Napoli ha vinto aggrappand­osi a un singolo, a un individuo che era anche il più forte del mondo: Maradona, di quella squadra, era il faro. Se non c’era lui, non c’era luce. Adesso, invece, si è affidato al gioco, al gruppo, alla somma dei fattori. Per me si tratta di un notevole salto di qualità, di un’evoluzione».

► Doppia dose di applausi per Spalletti, quindi?

«Sì. È stato un maestro. Ha scelto un gioco, ha dato uno stile e ha saputo convincere i ragazzi a seguirlo. Per un allenatore è il massimo che si possa ottenere».

► Prima dell’inizio del campionato, chi l’avrebbe detto?

«Pochissimi, quasi nessuno. Il Napoli aveva ceduto pezzi importanti: Mertens, Koulibaly, Insigne. La maggior parte della critica e forse anche dei tifosi pensava che sarebbe stato un anno di transizion­e. Invece hanno compiuto un’impresa andata al di là delle previsioni. I dirigenti sono stati bravissimi: hanno preso giocatori poco più che sconosciut­i, li hanno fatti crescere e li hanno inseriti in un contesto che Spalletti, nel frattempo, aveva saputo preparare con maestria. Così tutti i tasselli erano al loro posto.

Inoltre, particolar­e che mi piace sottolinea­re, hanno speso molto meno di alcune rivali come l’Inter, la Juventus o la Roma. Non è un dettaglio, ma una virtù che va evidenziat­a».

► Il pregio di Spalletti?

«Aver sempre creduto nelle proprie idee e non aver mai cercato un compromess­o tra la strategia e la tattica. Il Napoli, salvo rarissime eccezioni, ha giocato bene, ha dato spettacolo, e ha vinto. E così ha dimostrato una lezione che vado ripetendo, inascoltat­o, da un po’ di tempo: se fai il tuo gioco senza aspettare l’avversario, e se lo fai bene, hai più possibilit­à di ottenere il successo».

► Estetica e risultati stanno insieme.

«Sì, perché il bel gioco non è soltanto una concession­e all’estetica, ma lo strumento per arrivare a raggiunger­e il risultato. Spalletti e i suoi ragazzi sono andati in giro per l’Italia a stupire e a divertire il pubblico. Segnavano e continuava­no ad attaccare, mica si chiudevano a difendere il risultato come fanno molte squadre ancora oggi. Il loro gioco ha prodotto felicità: nella gente che lo ha ammirato, e negli stessi giocatori che ne sono stati interpreti, perché quando giochi bene ti diverti e non vorresti smettere più».

► La chiave del successo?

«Tre cose che, unite, quasi sempre contribuis­cono a ottenere grandi risultati: il gioco, appunto; lo spirito di squadra; le motivazion­i che l’allenatore è riuscito a trasmetter­e ai suoi ragazzi. In più, il pressing costante in zona avanzata: il Napoli aggrediva gli avversari nella loro metà campo e non li faceva respirare. Questo è un segno di forza e di coraggio. E, cosa tutt’altro che secondaria, lo ha fatto in A e in Champions».

► Si può dire che il Napoli sia finalmente una squadra europea?

«Sì. Ha un gioco all’avanguardi­a che è frutto delle conoscenze dell’allenatore e dei giocatori. Quando hai un bagaglio di idee in testa, non ti senti mai solo in campo perché sai sempre come uscire da una situazione complicata. Spalletti ha gestito con molta intelligen­za tutto il gruppo. Il club è stato determinan­te, non esiste una grande squadra senza un grande club che indica la strada verso il successo».

► Dopo quello del Milan, un altro scudetto inatteso: che cosa significa?

«Che in Italia qualcosa si sta muovendo. Adesso pensiamo a fare il nostro gioco, pensiamo ad attaccare, interpreti­amo il calcio come i padri fondatori lo avevano pensato e cioè come uno sport offensivo e collettivo. Con questa mentalità è logico che ci siano delle sorprese in positivo. Ora, però, massima attenzione al pericolo più grande: l’appagament­o. Guai se i giocatori di Spalletti si sentissero già arrivati: questo non è che un passo a cui ne devono seguire molti altri se si vuole costruire qualcosa di straordina­rio».

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