La Gazzetta dello Sport

LO SCUDETTO DEI “SENZA DIEGO” LEZIONE PER TUTTI

- di FRANCO ARTURI

Il Supereroe non è presenza necessaria per i successi: il Napoli lo conferma

Per il tanto atteso terzo scudetto del Napoli i partenopei non devono ringraziar­e per la prima volta un “uomo solo al comando”, Diego Armando Maradona, ma un gran lavoro di squadra… Pietro Mancini

La risposta di Antetokoun­po a chi gli chiedeva conto del «fallimento» stagionale per la clamorosa eliminazio­ne dai playoff Nba è stata una gran lezione di sportività per tutti… Carmen Lastia

Queste due lettere-opinioni provengono da mondi sportivi lontani fra di loro, e tuttavia sono collegate da un filo rosso che si richiama ai contenuti e ai valori di uno sport di squadra, come sono il calcio e il basket. Il Supereroe non è una presenza necessaria e sufficient­e per ottenere successi ed è molto bello che il Napoli di De Laurentiis e Spalletti ne sia una splendida conferma. Non ho evidenteme­nte nulla contro i (pochissimi) fenomeni della levatura dell’argentino: sono pur sempre una gioia per gli occhi e un ponte evidente fra lo sport e l’arte. Tuttavia, Maradona senza una grande squadra accanto (sì, anche l’Argentina del Mondiale 1986 lo era e non lo lasciò affatto solo) non sarebbe andato lontano. Dovrebbe trattarsi di un’evidenza, di qualcosa di scontato, tanto più dopo gli scudetti del Milan e del Napoli, costruiti fra mille attenzioni di bilancio, eppure la vulgata emotiva attorno a questi sport continua ad essere troppo sbilanciat­a verso i campioni e i campioniss­imi: il gioco di squadra e il lavoro della società non hanno la stessa forza di suggestion­e. Ma contano molto di più. Puoi dire, scrivere e sottolinea­re che l’arrivo di uno

Kvara o di un Maignan non avevano suscitato nessuna particolar­e emozione, salvo vederli, pochi mesi dopo, nei panni degli uomini-vittoria. È tutto (quasi) inutile, e lo si percepisce in modo molto più marcato durante le sessioni di mercato dove la spinta popolare verso il «grande acquisto» resta l’unico motivo d’interesse.

Il nesso col fortissimo campione greco del basket? Sta in una delle frasi da lui dette durante quella conferenza stampa, su cui non molti si sono soffermati: «Michael Jordan ha vinto sei titoli su 15 stagioni giocate in Nba; significa che le altre 9 sono state fallimenti?». Nessuno ha potuto fiatare. E parliamo, nel caso del citato «Air», di un mostro della portata di un Maradona. Già: ma chi ricorda le numerose sconfitte di questi miti, una volta che sono stati avvolti in un’aureola di luce e di leggenda? Eppure, ci sono state cadute pesanti, eccome: Jordan impiegò sei anni a vincere il primo anello; e delle vicissitud­ini tecniche ed umane di Diego ricordiamo tutto. Umani anche loro, a volte perfino troppo, nonostante vogliamo dimenticar­lo. C’è una differenza abissale fra lo sforzo di un Messi o di un Federer e i loro mondi sportivi e il loro approccio psicologic­o. Possiamo spingerci ancora più in là nella valorizzaz­ione del lavoro di gruppo: un’ipotetica squadra composta da 10 Maradona e un portiere verrebbe presa a sberle sportive da quasi tutti. È deludente? Non credo proprio: in fondo si tratta di un’investitur­a nei confronti dei comuni mortali: i supereroi hanno bisogno di noi.

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Maradona Festa scudetto nel ‘90

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