La Gazzetta dello Sport

MOU L’INCENDIARI­O I TIFOSI LO ADORANO MA C’È VITA E C’È ROMA ANCHE SENZA DI LUI

José è stanco: consumato dai suoi eccessi E se si tornasse a parlare di gioco e schemi?

- di Giancarlo Dotto

Doveva essere e non è stato. Doveva essere l’impresa. Se non la più prestigios­a, certo la più iperbolica della sua storia. Vincere la seconda finale europea consecutiv­a con un club che sta lì da una vita a leccarsi le ferite di quaranta (il Liverpool in Champions) e trenta anni prima (l’Inter in Coppa Uefa). Doveva essere la Puskas Arena il teatro della catarsi. Basta con le funeste memorie di una piazza che, nel frattempo, aveva sviluppato una mistica della sconfitta. La memoria quasi compiaciut­a degli appuntamen­ti e delle felicità mancate. La Volpe di Setubal aveva studiato tutto nei dettagli, era entrato come mai nelle teste dei suoi, che ormai sono come le sue pantofole. Quel Dybala dal primo minuto. Quella folla commovente, distribuit­a tra Budapest e l’Olimpico. Bambini che trepidavan­o all’unisono con i loro padri e i loro vecchi. Quest’attesa esagerata.

E ora? Sembrava una storia già scritta. Solo un dio sadico poteva divertirsi a tramare il contrario. Sì, le sottili perfidie dell’arbitro, sì, gli errori della Volpe, che aveva indovinato tutto prima e ha sbagliato tutto durante (i cambi fatti e non fatti, quel Wijnaldum in campo, più Giorgino che Wijnaldum, imbarazzan­te a dir poco, uno scherzo travestito da calciatore?, la scelta dei rigoristi).

Metteteci anche un Siviglia appena onesto che ha fatto la sua onesta partita. E ora? Da dove si riparte? E se si ripartisse dall’esercito dei commentato­ri televisivi che, per più di un’ora, hanno parlato solo di Mourinho e del suo futuro, come se quella battaglia bestiale di 146 minuti non fosse mai accaduta? Azzerata. Mai esistita. La fatica di quei ragazzi che, per due ore e mezza, si sono spolmonati, hanno menato e si sono fatti menare a sangue per portare in dono un trofeo al loro sciamano. Nemmeno una parola per loro.

Domande Partiamo da qui. E se la Roma si rassegnass­e a cambiare pagina (Mourinho ha fatto capire che non vede l’ora), senza che la cosa risulti una tragedia?

E se si scoprisse l’inaudito, che c’è vita, c’è Roma anche dopo Mourinho? Se si scoprisse che al risultato e all’identità ci si può arrivare anche con il gioco e non solo con la trincea? Se si scoprisse che gli attaccanti possono tornare a essere tali, e non più un avamposto dei mediani (Abraham e Belotti hanno fallito in un contesto tattico dove avrebbe fallito anche Ronaldo il Fenomeno)? Se si scoprisse che il demiurgo di turno ci sa fare con le teste dei calciatori per inculcare trame di gioco e non sentimenti belluini da eterna emergenza? Se si scoprisse che il nuovo arrivato ( povero lui chiunque sarà, dovrà avere l’attitudine di San Sebastiano a farsi trafiggere da mille frecce) non sentirà l’urgenza di sfoderare ogni volta l’occhio luciferino e di sbranare l’arbitro di turno che, povero ometto, finirà fatalmente per meditare vendette acide contro l’aggressore? E se, infine, si prendesse atto che ci voleva un roccioso texano per ristabilir­e una normalità, a cominciare dal mettere in panchina, al posto dell’angelo sterminato­re, un bravo allenatore, che gli orgasmi se li fa venire perché vede una squadra dominante, piuttosto che un mucchio di gloriosi e qualche volta ingloriosi “bastardi”. Educando la folla all’idolatria per il gioco e non per le persone (da queste parti è passato Nils Liedholm, qualcuno ricorda? E un certo Spalletti. Nessuno ricorda?).

I migliori Ripartire dal molto di buono che c’è (non è vero che sono tutti “bambini” e “bravini”). Il miglior Smalling di sempre, l’immane Matic, l’abbagliant­e Dybala, i Pellegrini, Mancini, gli Ibanez, i Cristante, i Zalewski, lo stesso El Shaarawy e tutti quelli che verranno. Mou è uno sciamano. La sua parola ti buca la pelle. A furia di raccontare i limiti e l’eroismo della sua Roma, i calciatori ci hanno creduto e sull’1 a 0 mercoledì sera si sono chiusi nel loro bunker di limitati eroi.

Solo la maglia Tutto passa e anche Mou un giorno passerà, come una solenne, magnifica sbronza, da cui i tifosi romanisti si riavranno chissà quando e chissà quali postumi, certo la divorante nostalgia di chi sa d’aver vissuto giorni irripetibi­li. Perché Mourinho è questo, un uomo che brucia, e non c’è niente di più emozionant­e che vedere un uomo bruciare a tempo pieno. Incendiand­o e incensando se stesso, Josè ha incendiato e incensato chi gli sta intorno. Sacrestano, prete e divinità del suo stesso altare. Non sarà facile cancellare l’uomo dell’ebbrezza romanista. Consolare migliaia di tifosi che per due anni hanno vissuto un’esperienza unica. Basterebbe sapere che il Mou di turno è solo lo strumento di una nostalgia antica come il mondo. Basterebbe rifarsi al concetto tanto sbandierat­o nelle curve: «Amiamo solo la maglia». E chi dimostra di starci dentro con il massimo della dedizione, aggiungo io dalla mia curva.

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Nella foto grande José Mourinho, 60 anni, si sfila la medaglia dei battuti, appena ricevuta alla Puskas Arena di Budapest dopo la sconfitta con il Siviglia nella finale di Europa League. Nella sequenza sotto, Mou con Ceferin, poi lascia il palco della premiazion­e e lancia la medaglia verso un giovane spettatore, che visibilmen­te felice mostra il suo “trofeo”
AFP/GETTY La medaglia regalata Nella foto grande José Mourinho, 60 anni, si sfila la medaglia dei battuti, appena ricevuta alla Puskas Arena di Budapest dopo la sconfitta con il Siviglia nella finale di Europa League. Nella sequenza sotto, Mou con Ceferin, poi lascia il palco della premiazion­e e lancia la medaglia verso un giovane spettatore, che visibilmen­te felice mostra il suo “trofeo”
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