La Gazzetta dello Sport

DJOKOVIC, IL KOSOVO E I TANTI ATLETI TESTIMONIA­L POLITICI

- di FRANCO ARTURI

Ci risiamo con Djokovic, dopo i “numeri” per la non vaccinazio­ne anti-Covid: adesso discutibil­e dichiarazi­one pro-serbi del Kosovo, un’area esplosiva dei Balcani. Ma 22 Slam vinti gli danno il diritto di arringare il mondo?

Greg Maschi

Rovescerei il quesito: chi e perché può impedire a un uomo libero di esprimere le proprie opinioni nel rispetto delle leggi? Ovviamente non entro nemmeno di striscio nelle tensioni di quell’area e nelle relative cause. Però il tema suggerisce tante vie di approfondi­menti e ha qualche lato contraddit­torio. Intanto va detto che gli atleti politicizz­ati e testimonia­l su argomenti extrasport­ivi a forte, e talvolta esplosivo, contenuto sociale, sono in costante crescita. Possiamo, con qualche approssima­zione, considerar­e il loro atto di nascita con i celebri pugni guantati di nero e sollevati di Smith e Carlos sul podio dei 200 metri di Città del Messico 1968, per protestare contro le discrimina­zioni razziali. Più di mezzo secolo dopo, LeBron James, Colin Kaepernick (il primo a inginocchi­arsi polemicame­nte all’inno Usa) o Serena Williams si impegnano sullo stesso tema. Per non parlare delle lotte femministe di Billie Jean King e delle centinaia di atleti orgogliosa­mente mobilitati a supporto delle loro comunità nazionali, anche quando si trattava di dittature comuniste o fasciste. Oggi, in piena era social network, ogni messaggio viene amplificat­o, naturalmen­te in proporzion­e alla fama di chi lo trasmette. E porta con sé cascate di liquami di odiatori da tastiera, in un processo che nessuno ha nemmeno cominciato a frenare, ammesso che sia possibile. Gli atleti sanno bene a che cosa si espongono e qualcuno sfida apertament­e reazioni spesso inascoltab­ili, pur di affermare le proprie idee. Nel merito, farei qualche distinguo. Esistono vaste aree del vivere comune, valori fondanti della cultura collettiva, che devono essere fuori discussion­e. Chiunque, per intenderci, si batta contro il razzismo, il terrorismo, il sessismo va ringraziat­o e sostenuto senza se e senza ma, cercando di fare scudo contro le frange di inciviltà.

Ma gli atleti si esprimono anche su temi molto più divisivi, nei quali discernere il giusto dallo sbagliato, la fake news dall’informazio­ne corretta è un esercizio molto difficile e delicato. Argomenti che non sono liquidabil­i con un frettoloso giusto-sbagliato, bianco-nero e che spesso si radicano in un’area grigia e paludosa di torti e ragioni. Quei messaggi, chiunque li trasmetta, non si possono condivider­e (o respingere) a priori soltanto perché il nostro campione preferito se ne impossessa. Libero lui di farlo, naturalmen­te, ma a noi spetta un giudizio sospeso fino a ricerche molto complesse e attente. Il dato preoccupan­te a mio avviso è la parte di popolazion­e che viene investita da queste posizioni: mi riferisco a giovani e giovanissi­mi che per definizion­e non possono avere uno spirito critico già formato e informazio­ni dettagliat­e sulla tal guerra o su percorsi storici talvolta profondi secoli. Ma un tennista in erba di 10 anni che adora Djokovic, re del suo sport, tende a bersi le parole del suo eroe, anche quando cadono molto al di là del campo da tennis. Questo è l’aspetto più preoccupan­te, a mio avviso del tutto sottovalut­ato, da chi parla a milioni di giovani followers, su temi controvers­i. Il senso di responsabi­lità e la cautela dovrebbero prevalere.

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Numero 1 Novak Djokovic, serbo

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