La Gazzetta dello Sport

Sul ring del Tour

I COLPI DI POGACAR E LA RISPOSTA DI RE VINGEGAARD NE RESTERÀ UNO SOLO

- Di Francesco Ceniti INVIATO A BILBAO (SPAGNA)

A Bilbao scatta l’edizione 110: il danese per il bis, lo sloveno vuole di nuovo il trono già suo nel 2020-2021

Racconta Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi che Luigi II, principe di Condè, dormì sonni profondi e placidi nella notte che lo portò alla battaglia di Rocroi (19 maggio 1643), dove sconfisse gli spagnoli e spazzò via il mito della Invincibil­e armata. Tutto quello che doveva fare, aveva fatto. E la Storia gli diede ragione. Sarebbe bello, 380 anni dopo, sapere come hanno riposato Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar, i duellanti dell’edizione 110 del Tour de France, al via oggi da Bilbao. Salvo clamorose sorprese (possibili nel ciclismo e in una corsa lunga 21 tappe), la questione maglia gialla è affare loro. Sfida all’ultimo respiro che promette spettacolo, emozioni e colpi di scena. Saranno come due pugili, sul ring della Francia, a caccia del ko. Non esiste il pareggio: chi vince prende tutto, chi perde dovrà aspettare un anno (nel 2024 si partirà dall’Italia) per la rivincita. Vingegaard e Pogacar, pesi massimi della bici: al posto dei guantoni, i pedali. Versione a due ruote di quello che nel 1974 fu il match tra Foreman e Ali e della mitica

“rumble in the jungle”, un rombo (rissa) nella giungla dell’allora Zaire. Questa, tra il danese e lo sloveno, potremmo definirla “brawl for yellow”, rissa per il giallo. Ma quali sono i punti di forza (e le poche debolezze) dei duellanti? Chi ha qualche vantaggio? Scopriamol­o insieme.

Non solo salita

Certo, le montagne saranno le protagonis­te. Sono lontani i tempi in cui gli scalatori dovevano fare i salti mortali per recuperare i minuti persi nelle infinite cronometro. Gli anni che hanno visto dominare, ad esempio, Miguel Indurain, ospite d’onore giovedì alla presentazi­one delle squadre. I Paesi Baschi (terra dove il ciclismo è passione e fede) gli hanno tributato il giusto omaggio. Le cose sono cambiate: in questo Tour i km a crono sono solo 22,4, mentre si scaleranno ben 30 gran premi della montagna classifica­ti di seconda, prima e fuori categoria. Tanto per dare un’idea, nelle ultime tre edizioni (vinte da Pogacar e Vingegaard) erano 29 nel 2020, 27 nel 2021 e 23 nel 2022. Sulla carta entrambi sono magnifici scalatori, ma scatti continui possono essere un boomerang, come i colpi di Foreman sui guantoni di Ali: si rischia di esaurire le energie, favorendo il contrattac­co. Entrambi hanno le potenziali­tà di far male, in un match dove conteranno pure le giornate no, il tempo (freddo o caldo), eventuali cadute e proble

mi fisici. Tante variabili, una certezza: in salita arriverà il colpo del ko. Gli effetti saranno immediati: gambe indurite, bocca spalancata alla ricerca di aria, vista annebbiata. Uno si pianta, l’altro vola verso la gloria.

Altri fattori

Ma altro potrà influenzar­e l’esito finale. Nel Tour 2022 una mano determinan­te a Vingegaard è arrivata dalla squadra: la Jumbo-Visma è una corazzata ricca di campioni capaci di andar forte su ogni terreno. La Uae Emirates di Pogacar non è alla stessa altezza. Ma rispetto a un anno fa le distanze si sono avvicinate: ad aiutare il danese non ci sarà Kruijswijk (out per infortunio) e soprattutt­o Roglic, recente trionfator­e del Giro. Assenza pesante: lo sloveno era stato determinan­te un anno fa. Resta quella Jumbo una formazione pazzesca (Van Aert, Kuss, Kelderman, Van Baarle…), ma il vantaggio si è ridotto. Tadej si appoggerà al nostro Trentin e ai vari Majka, Soler e Adam Yates, ben consapevol­e che poi dovrà essere lui a fare la differenza. E qui entra in campo un punto interrogat­ivo: la condizione fisica. Quella di Vingegaard è (quasi) al top, la fresca vittoria al Delfinato lo dimostra. Diverso il discorso di Pogacar: la frattura al polso rimediata alla Liegi lo ha costretto ai box per due mesi: è rientrato dominando i campionati sloveni (crono e in linea), ma nessuno sa realmente se ha ritrovato la pedalata magica della scorsa primavera.

Il tocco in più

E fin qui Vingegaard sembra il favorito. E invece ci sono due frecce nell’arco di Tadej che ribaltano i ruoli. Il primo è psicologic­o. Il danese è il re in carica (come Foreman), la pressione è dalla sua parte. Pogacar gli ha scaricato addosso tensioni: «Sta meglio di me, è l’uomo da battere». Il contrario di quanto accadde nel 2022 quando giocava a fare il padrone, ma finì senza benzina. Lo sloveno dà il meglio di sé nelle difficoltà. A livello di testa ha pochi rivali, basti vedere come ha gestito e vinto le classiche monumento, terreno inesplorat­o per Jonas. Saprà sopportare lo stress da favorito? Oppure la corona finirà per essere una zavorra? Non solo, in un confronto così serrato la differenza potrebbe farla una variante sul tema, un colpo di genio. Che appartiene molto di più a Pogacar (capace di vincere in tanti modi), mentre invece il copione di Vingegaard è più standard: restare coperto e fare la differenza in salita, dove si sente il migliore. Può essere, ma la fantasia di Tadej spesso è letale. Comunque vada, sarà un duello fantastico. Dove nessuno, neppure il fantasma del principe di Condé, avrà spazio per sonni tranquilli.

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Nel 2023 vinto il 66% delle corse Pogacar ha un bilancio di 14 vittorie in 21 giorni di gara
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Vingegaard ha un bilancio di 11 vittorie in 25 giorni di gara
Nel 2023 vinto il 44% delle corse Vingegaard ha un bilancio di 11 vittorie in 25 giorni di gara
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