TORNANO DI MODA GLI “ARMADI” SERVE PIÙ TECNICA E C’È UNA TERZA VIA
Nel luglio del 2015 Kobe Bryant si era fatto riprendere, con una maglia blaugrana e il suo nome stampato in giallo, tra i “nani” del Barcellona freschi campioni d’Europa. Visto accanto a Iniesta e Messi, sembrava un Gulliver in viaggio nel paese dei lillipuziani. Se adesso LeBron James dovesse andare a trovare i ragazzi del Manchester City, vincitori dell’ultima Champions e – come quel Barça – collezionisti di un Triplete, l’effetto certo non sarebbe identico. Vederlo vicino a uno come Haaland, che in verticale misura 195 centimetri, farebbe pensare a mondi che si avvicinano e non a scale completamente diverse. Sullo sfondo c’è un’evoluzione
silenziosa, si possono misurare alcune vette, picchi voluti e ricercati. Siamo davanti a un’accelerazione. Tornano di moda i giocatori-armadio. Chili di muscoli e stature giganti si comprano quasi a peso.
Non parliamo tanto di portieri, difensori centrali o
numeri 9 che storicamente hanno seguito sempre – quasi senza intoppi – questa linea di crescita. La tendenza, ormai, riguarda quasi tutti i ruoli anche a centrocampo.
Per dire, se Allegri dovesse riuscire a completare i suoi piani estivi, la Juve potrebbe schierare uno accanto all’altro Pogba, Rabiot e MilinkovicSavic: gente che balla tra gli 80 e 90 chili e che sfiora o supera i 190 centimetri. Il calcio muscolare era diventato dominante alla fine del secolo scorso. I grandi campioni, quelli del Pantheon di sempre – Di Stefano, Pelé, Cruijff, Maradona, Messi – non sono mai stati dei giganti. Il più alto era Johan Cruijff (178 centimetri) che, paradossalmente, era uno dei piccoletti nel grande Ajax e nell’Olanda di Rinus Michels, che con la sua rivoluzione
degli anni Settanta ha definitivamente cambiato il calcio. Il Milan di Arrigo Sacchi si era mosso in quel solco grazie anche ai suoi formidabili giganti olandesi Gullit, Van Basten e Rijkaard: un trio simile per le dimensioni fisiche – certo non per ruolo e talento – a quello che ora Allegri vorrebbe nella prossima Juve. È curioso che Ruben Loftus-Cheek – prelevato dal Chelsea e ultimo arrivato nel Milan – abbia le stesse identiche misure del vecchio Gullit quando giocava: 191 centimetri per 88 chili. Classi molto diverse, naturalmente. Eppure c’è qualcosa in comune: duttilità e polivalenza. Mourinho faceva giocare Loftus-Cheek da trequartista. Conte lo preferiva seconda punta. Tuchel lo schierava terzino a tutto campo, oppure difensore centrale. Con un fisico così potente è più facile adattarsi a compiti e situazioni differenti. In generale, nel corso del tempo c’è stata una specie di travaso fra la tecnica, la classe e la sensibilità per il pallone rispetto al fisico di chi era chiamato a esprimerla. Si sono moltiplicati i giocatori grandi e grossi, utili per il calcio atletico e iper-tattico, ma sempre meno raffinati nel modo di toccare la palla. Nei primi anni del Duemila l’inflazione dei giocatori-armadio sembrava un fenomeno irreversibile. Nel 2008 il Barça di Pep Guardiola – probabilmente la squadra più forte di tutti i tempi – aveva cambiato il corso della storia, restituendo dignità ai giocatori “nani” e alla loro tecnica sublime. La leggerezza di quel tiqui-taca era come una raffica di schiaffi con cui un bambino riusciva a stendere il gigante che cercava di prenderlo a pugni. Il modello trasferito nella nazionale spagnola aveva conquistato l’Europa e il mondo. Ha generato diverse contaminazioni, spinte uguali
e contrarie. Andando avanti, il calcio è tornato un po’ indietro, ma ha trovato anche delle sintesi felici: Cristiano Ronaldo ha saputo essere un palestrato con tecnica da
Nobel. Il Liverpool di Klopp e il Real di Ancelotti ci hanno fatto vedere strappi di futuro possibile. L’ultimo City del Pep, mixato con l’intensità inglese, è un buon esempio di terza via da seguire. L’importante è tenere assieme fisico e tecnica, gli armadi con il design. Nell’Italia del pallone, sembra che spesso ci si dimentichi della seconda parte.