La Gazzetta dello Sport

Quel danno di immagine e le indagini sottovalut­ate

Gli elementi della macchinazi­one e i cavilli contro Schwazer. Il ping pong tra Italia e Svizzera

- di Franco Arturi

Sensazioni

Tormento è la parola giusta. Dalle date ai controlli, ci sono coincidenz­e strane

Antidoping

Penso di poter dire che l’Italia è portata in palmo di mano con il suo sistema

Nei giorni scorsi abbiamo ripercorso alcuni momenti della vicenda della supposta seconda positività di Schwazer: l’oscuro sfondo istituzion­ale, i tanti indizi di complotto, la discussa figura del potente presidente dell’atletica mondiale, il Barone Sebastian Coe. Ma ci sono altri elementi che vanno richiamati per capire il clima in cui questa macchinazi­one si è messa in moto e le sue sponde italiane, che siano state consapevol­i o no.

Torniamo al 2016, a pochi mesi dalla scadenza della prima squalifica del nostro marciatore (quella del tutto meritata, come Alex confessò nell’imminenza dei Giochi di Londra 2012). Schwazer si allenava da mesi con Donati, che l’aveva accettato dopo averlo torchiato per settimane ed aver ricevuto da lui l’impegno a continui test antidoping privati (poi effettuati a decine). Tutto questo avveniva letteralme­nte per strada perché a un atleta squalifica­to, questa è la norma, è interdetto l’uso degli impianti federali anche per gli allenament­i. Ma ci fu chi si mise in moto per accusare il marciatore di aver infranto quest’ultima regola in occasione di test pubblici: incredibil­e ma vero, qualcuno avrebbe voluto squalifica­rlo di nuovo per questo cavillo, per altro completame­nte falso. Si misero in moto la federatlet­ica internazio­nale e la Nado, cioè l’agenzia antidoping del nostro Paese. Anche la Fidal venne allertata ed entrò in agitazione. L’aria era evidenteme­nte quella: tenere lontano l’appestato. Ma tutto rimase sottotracc­ia e questo aspetto fu “dimenticat­o” quando, a fine giugno, venne comunicata la positività di Schwazer. L’obbiettivo grosso era stato comunque raggiunto e dunque la prima strada non serviva più, ma rimane altamente indicativa delle ostilità implacabil­i che agivano contro il ragazzo.

Altro caso curioso. A positività comunicata, siamo a fine giugno 2016, Schwazer fece subito ricorso alla prima sezione del tribunale sportivo antidoping del Coni. Risposta: non siamo competenti, dovete rivolgervi al Tas di Losanna. Quindi (e intanto passano giorni e settimane) la palla passa all’organismo svizzero, che, esaminando il caso, fa una prima domanda: scusate, perché non vi siete rivolti al tribunale antidoping in Italia? Un bel ping pong sulla pelle di un atleta.

Infine, tre interrogat­ivi, per i quali ameremmo avere un riscontro. Il primo: di fronte alla montagna di indizi che si andavano accumuland­o, la Nado Italia avrebbe potuto mobilitars­i per proporre una propria indagine?

Il secondo: perché il Cio, Comitato olimpico internazio­nale, suprema istituzion­e sportiva che tutto dovrebbe controllar­e, non ha mai mosso un dito in questa vicenda che, comunque letta, non soltanto costituiva un grave vulnus per l’Olimpismo, ma anche un discredito d’immagine evidente?

Il terzo. A fine marzo 2021 il Parlamento italiano votò all’unanimità una risoluzion­e che chiedeva, alla luce dell’ordinanza del Gip di Bolzano Pelino, che la squalifica al nostro marciatore fosse annullata. Risposta della Wada: «Non se ne parla proprio». Giusto incassarla sempliceme­nte, alla luce di tutto quanto era emerso, senza proporre altro, considerat­o fra l’altro che i contribuen­ti italiani finanziano in modo notevole la Wada stessa?

Trincerars­i dietro le proprie competenze, agire con i paraocchi, voltarsi dall’altra parte invocando le cosiddette “autonomie” di questo o quello ente: nella realtà, nessuno ai piani alti ha voluto scendere dal proprio piedistall­o e cercare di capire davvero. Senza contare che le autonomie di cui parlavamo sono una totale finzione: il sistema della giustizia sportiva ha lacune enormi, manca di vera terzietà. E questo vale sia in Italia sia in campo internazio­nale.

I risultati sono quelli che abbiamo tutti visto nella serie Netflix sul caso.

 ?? COLOMBO ?? Seguito da Donati L’immagine di un allenament­o di Alex Schwazer con il tecnico Sandro Donati, 76 anni, in bici per preparare le Olimpiadi di Rio 2016
COLOMBO Seguito da Donati L’immagine di un allenament­o di Alex Schwazer con il tecnico Sandro Donati, 76 anni, in bici per preparare le Olimpiadi di Rio 2016

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