La Gazzetta dello Sport

La sfida che cambia la storia?

- Di Riccardo Crivelli INVIATO A LONDRA

Il verde del prato più celebre che si incendia fino a diventare rosso fuoco. L’erba più desiderata che finisce per accogliere una battaglia destinata a cambiare comunque le sorti e la storia del tennis. Ci sono state partite che hanno segnato il confine tra due mondi, marcando la conclusion­e di un’epoca e l’avvio della successiva: la finale del 1981 qui a Wimbledon tra McEnroe e Borg chiuse l’epopea dello svedese; la vittoria nei quarti di Sampras contro Lendl agli Us Open del 1990 sancì la fine definitiva del decennio precedente e del suo più grande interprete e portò sulla scena il re di quello seguente; la sorprenden­te impresa di un allora imberbe Federer sempre su questi campi negli ottavi del 2001 contro il sette volte campione Sampras, passato nelle vesti del titano abbattuto, fece calare il sipario sul dominatore degli anni 90 e presentò quello delle stagioni a venire.

La rivincita Ma la finale di oggi tra Alcaraz e Djokovic va addirittur­a oltre, possiede un significat­o simbolico probabilme­nte unico nel grande romanzo delle racchette, non è soltanto una sfida generazion­ale, seppur caldissima. Certo, vale il numero uno del mondo per chi vince, ma in gioco c’è soprattutt­o il sacro fuoco dell’immortalit­à sportiva che può restare acceso nelle mani del gigante che ha marchiato l’evo recente oppure spegnersi per consegnars­i al potere di un nuovo, giovane eroe. Insomma, un pomeriggio che solo l’epica sarà in grado di raccontare: Novak può diventare il più vecchio vincitore di Wimbledon di sempre, a 36 anni e 55 giorni, ma questo è addirittur­a un dettaglio di fronte all’opportunit­à di conquistar­e il 24° Major (come la Court) allungando ancor di più su Nadal, ovvero l’ottava corona a Church Road, raggiungen­do Sua Maestà Federer. Però sopra ogni altra cosa, alzare il trofeo per il serbo significhe­rebbe scorgere di nuovo all’orizzonte il contorno nitido del Grande Slam, sfuggito per una partita nel 2021. E ad impedirgli questa impression­ante sequela di primati e di sogni proverà un ragazzo di vent’anni, che in 18 mesi è diventato così grande da proporsi come erede naturale senza che il paragone suoni come un’offesa per la storia. Infatti Carlos è consapevol­e di cosa si troverà a vivere: «Sarà una partita monumental­e. Almeno per me, visto che lui ha già vissuto questa esperienza più di una volta. Proverò a rimanere calmo, a sfruttare il mio livello massimo. Ma sarà una partita monumental­e, sì. E mentale». Nella semifinale del Roland Garros del mese scorso, la prima partita vera (l’altro precedente è di Madrid 2022) in cui misurare la vicinanza al mito, Alcaraz è stato distrutto dalla tensione. Cosa può essere cambiato in così poco tempo, per di più su una superficie che nonostante gli enormi progressi ancora non gli appartiene e invece rappresent­a il giardino di casa del formidabil­e avversario? Sono 35 finali Slam contro due, eppure il ragazzo stavolta promette di non tremare: «Questo match è una vendetta personale. Ho dovuto affrontare quello che è successo a Parigi, cercare di capire, è stata una sorta di lotta personale in cui l’obiettivo era migliorare e assicurars­i che quell’episodio non si ripetesse. Dovrò essere la miglior versione di me stesso, a livello mentale e fisico, e nessuno mi assicura comunque che

riuscirò a vincere. Punti deboli di Djokovic? La verità è che non me ne viene in mente nessuno».

Lo specchio Tradizione, risultati, abitudine: tutto sembra stare con il Djoker. Ma il precedente di Parigi, seppur freschissi­mo, non conterà, non nella sua testa, sicurament­e resettata per affrontare il miglior Alcaraz possibile: «Carlos è così giovane ma incredibil­mente costante, anche sull’erba. Non credo molte persone si aspettasse­ro che giocasse così bene anche qui, però ha avuto un incredibil­e successo nell’adattarsi alle superfici nonché alle difficoltà e alle sfide che gli hanno presentato gli avversari. Si tratta di una grande virtù, e per questo mi sembra di guardare in uno specchio: la capacità di adattament­o è stata uno dei miei più grandi punti di forza per tutta la carriera. Compliment­i a lui , un giocatore straordina­rio e un bravissimo ragazzo». Sì, è la finale più bella che ci sia: «La volevano tutti, e io non vedo l’ora di giocarla — confessa Novak — perché sarà una grande sfida, la più grande che possa affrontare in questo momento. La pressione c’è, sento ancora la pelle d’oca, le farfalle nello stomaco prima di una partita del genere. La affronterò come se fosse la mia prima finale». Così nascono le leggende.

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