QUANTO CI FA BENE CRESCERE IN EUROPA LO VEDIAMO GIÀ NEL CAMPIONATO
C’è una prima fase delle coppe europee dove conta soprattutto esserci e si respira una tendenza a prendere – diciamo così – la fetta di torta che spetta a ogni partecipante. Parliamo della fase a gironi, dove è permesso anche sbagliare qualcosa: la prossima settimana sarà già tempo di sorteggi per la composizione dei nuovi gruppi. Ma poi c’è l’altra fase. Con il dentro o fuori, in un percorso non molto frequentato dalle squadre italiane nelle ultime stagioni, tutto diventa diverso, cambia la musica. Non si va più a prendere, ma in qualche modo a dare, ad aggiungere e ad arricchirsi con le contaminazioni. Funziona così, andando avanti in Europa ci sono un po’ di conseguenze. L’eredità delle tre finaliste (Inter, Roma, Fiorentina), e della semifinale tutta milanese nell’ultima Champions, non porta con sé soltanto il peso e la pressione per una conferma delle nostre squadre nella prossima edizione delle coppe continentali. C’è anche una ricaduta molto positiva che si è già manifestata nella prima giornata di campionato. Da oggi, con i match del secondo turno, ci aspettiamo ulteriori conferme della tendenza, a cominciare da Milan-Torino, la sfida più aperta e interessante. Nel debutto stagionale a San Siro, i rossoneri devono dare continuità al primo tempo giocato a Bologna contando sulla brillantezza di Pulisic, gli inserimenti di Reijnders, l’orgoglio di Leao. Per Pioli non sarà facile: sette mesi fa, i granata in dieci avevano eliminato il Milan dalla Coppa Italia; e in campionato, dopo la crisi di gennaio, i rossoneri avevano fatto molta fatica contro la fisicità dell’impianto di Juric. È un test serio, dunque, anche in vista del primo scontro
diretto di venerdì prossimo, col Milan impegnato contro la Roma di Mou che nell’occasione potrebbe già contare sulla potenza di Lukaku. Il mercato è alle ultime battute, cambierà un po’ la linea dell’orizzonte ma la tendenza è abbastanza chiara. L’Europa ci fa bene, consolida la personalità. La sconfitta della Fiorentina a Vienna, nel playoff di Conference, è un piccolo inciampo. Per lungo tempo non c’è stata certezza di dover giocare questo spareggio, il Rapid è più avanti di condizione ma ha meno qualità e giovedì al Franchi i ragazzi di Italiano hanno tutte le possibilità di ribaltare il verdetto. In generale, il valore aggiunto dell’ultima stagione europea è un insieme di rabbia – per l’epilogo, poco felice, delle tre sconfitte in finale – e di consapevolezza della propria forza, considerati i percorsi fatti. Si diceva che la Serie A è poco allenante: evidentemente, non era più vero. Quest’estate il nostro calcio ha perso un po’ di nomi pesanti (tipo Tonali, Hojlund, Milinkovic-Savic, Skriniar, Dzeko, Di Maria) ma ha saputo anche resistere (Osimhen), reinvestire (i volti nuovi del Milan) e riciclare (De Ketelaere nell’Atalanta sembra destinato al successo). L’asticella si alza, eppure l’Europa può essere ancora terra di conquista. La Juve salta un turno, puntando sul campionato. Le altre, a cominciare dal Napoli, devono avere per forza uno sguardo più ampio: Garcia ha l’obbligo di fare molta strada in Champions e di passare la frontiera dei quarti rimasta chiusa davanti a Spalletti. Inzaghi aspetta gli ultimi ritocchi, ma sa di avere l’impianto italiano più solido e collaudato per riuscire ad arrivare ancora una volta in fondo alla competizione. La vera incognita riguarda il problema del gol e della scarsa concretezza che i vecchi Arnautovic e Sanchez non sembrano in grado di risolvere. Lautaro è la garanzia, Thuram una scommessa forse decisiva. Il Milan modello-Liverpool, senza un vero centro di gravità, ha bisogno di trovare intensità e nuovi equilibri. Gli serve tempo. Tempo che Mourinho ha consumato senza grandi proclami per cercare di rinforzare faticosamente la sua creatura. Big Rom, che ha già allenato nel Chelsea e a Manchester, può essere un gran colpo per la Roma. E magari, sull’asse con Dybala, anche l’ultima vera differenza di questa estate.