IL PIANO RISCHIOSO DI MAZZARRI, UOMO DI IERI NEL CALCIO DI OGGI
Nel ritorno di Walter Mazzarri sulla panchina del Napoli c’è la scommessa di una vita calcistica. Tornando indietro per prendere la rincorsa, Mazzarri appare come il mondo di ieri che pur di stare nel mondo di oggi e dirgli che non ha smesso di esserci, è disposto a tutto: per questo ha accettato un contratto di sette mesi, per poter smentire il tempo. E ricominciare. Tornare al campo. Agli spogliatoi. Al circo delle partite. Ha promesso di cambiare pelle e modulo pur di riavere indietro il Napoli. Da sessantenne è apparso più sfrontato, flessibile e avventuriero del quarantenne Igor Tudor, convincendo Aurelio De Laurentiis. Non è difficile immaginare Mazzarri come Aldo Fabrizi in “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola mentre dice a De Laurentiis: «l’essere più solo al mondo non è il ricco, ma l’allenatore». Anche perché a guardare il calendario del Napoli - Atalanta, Real Madrid, Inter e Juventus, con solo l’Inter al “Maradona” - la solitudine è evidente, e bisogna anche essere molto coraggiosi o avere tanta fiducia in sé stessi per andare incontro a quelle partite con una squadra da ricostruire. Verrebbe da cantare con Niccolò Fabi: «Non ho visto nessuno / andare incontro a un calcio in faccia / con la tua calma, indifferenza». Ma Mazzarri è un uomo di campo che si stava struggendo di nostalgia lontano dagli stadi, un animale da panchina che ha fiutato l’occasione da prima ancora che ricominciasse il talent post-Garcia di De Laurentiis, e l’ha spuntata. Sembra avere un piano, oltre una storia da film americano: l’allenatore fuori dal giro che torna e trova una grande squadra da allenare, da rimettere in sesto psichicamente e geometricamente, colpi da carrozziere che conosce. Pare convinto delle proprie capacità e anche disposto ad andare oltre
la sua storia calcistica. È disposto a tutto. Cerca l’impresa epica, in poco tempo, pur di riportare in vita il passato e ciò che ha amato di più: un Napoli intrappolato in un limbo tra ricordo della vittoria del campionato e incapacità di ripetersi. Mazzarri sembra Orfeo e il Napoli la sua Euridice. Infatti, la piazza è divisa tra romantici e cinici. I primi credono alla storia d’amore, i secondi no. I primi rimasticano la nostalgia pensando: con una squadra inferiore è arrivato secondo. I secondi ripetono ossessivamente che è cambiato il calcio. C’è una variante: Mazzarri ha tutto da perdere. Per questo la sua è una grande storia di sport. È più stropicciato, è invecchiato, ma è passato attraverso altre storie e panchine, ha avuto un percorso da fiume, e ora ha la sua occasione a quattro corsie: campionato, Coppa Italia, Champions League e Supercoppa italiana. E poi c’è l’effetto scossa. O almeno dovrebbe esserci. Rispetto alle astrazioni di Garcia, il pragmatismo di Mazzarri, la sua struttura narrativa semplice e classica, ha più possibilità di funzionare, anche sperimentando il 4-3-3 se è vero che lo farà.
È un uomo di ieri, che non ha i social, che vive nell’analogico, ma che può avere i numeri di oggi.