LA FILOSOFIA DUCATI: GIOCARE IN ANTICIPO FA VINCERE DI PIÙ
Si dice sempre che vincere aiuta a vincere. E la Red Bull di F.1 lo dimostra ogni volta che si va in pista, a prescindere dalle lotte intestine tra Horner, Marko e Verstappen padre che avrebbero dovuto minare la forza della squadra. Lo stesso (la coazione a ripetere, che nasce dalla vittoria e lì torna) vale per la Ducati in MotoGP, con la differenza – non certo sottile – che a Borgo Panigale il clima è totalmente diverso da quello che si respira oggi a Milton Keynes. Il ciclo di successi che sta attraversando la rossa bolognese ha radici lontane ed è dovuto a scelte oculate e al coerente desiderio di rendere più forte il proprio lavoro e di alzare l’asticella degli obiettivi. In pratica una versione emiliana del kaizen giapponese, famoso a livello industriale e definibile come “il miglioramento continuo e graduale di una attività al fine di creare più valore”. Traduzione sintetica, applicata alle corse: vietato stare fermi, anche quando si portano a casa Mondiali in serie e tutto sembra molto facile. Ma facile non è. Ieri la Ducati ha annunciato l’ingaggio di quello che viene definito da molti il nuovo fenomeno della Moto2, ossia Fermin Aldeguer. Su di lui avevano messo gli occhi in tanti, ma certo finire su una moto super ha indirizzato la scelta dello spagnolo. Ma non è stato ancora ufficializzato in che struttura finirà il 18enne, se in Pramac o da qualche altra parte. Nel contempo, il direttore corse Gigi Dall’Igna, dopo
averlo voluto in sella a una Ducati contro parte dei vertici della squadra che non era della stessa idea, non nasconde da tempo il fatto di tenere d’occhio con attenzione il comportamento di Marc Marquez. Dopo la prima gara della stagione in Qatar si è lasciato andare a grandi complimenti dicendo che lo spagnolo ha corso in modo intelligente ed è stato coraggioso, alla prima uscita con una moto che non conosceva e molto diversa da quella Honda con cui ha gareggiato per un decennio. Il processo di adattamento è lungo, ma Marc a quanto pare sta già bruciando le tappe.
Il fine è quello, nemmeno troppo nascosto, di portare Marquez ad affiancare Bagnaia nel team ufficiale.
Così, agitando lo spauracchio dell’astro nascente da una parte e quello dell’otto volte iridato dall’altra, Dall’Igna mette tutti gli altri piloti di casa sua sulla graticola. Bagnaia escluso, visto che l’iridato in carica è l’unico degli otto ad aver già rinnovato
il contratto. Si corre il rischio che qualcuno scappi, a partire da Jorge Martin, ma visto che la Desmosedici (soprattutto quella 2024) resta la moto da battere in pochi a naso sarebbero felici di
fare le valigie. E qui, ragionando sulla forza della nuova moto disponibile al momento solo per Pecco, Bastianini e lo stesso Martin, arriviamo al secondo punto in grado di spiegare il dominio Ducati. Ossia, la volontà di non accontentarsi. Gli sviluppi tecnici – di motore e aerodinamici – adottati sulla rossa per il 2024 si portavano dietro una percentuale di rischio che altri, forse, avrebbero preferito evitare. Non Dall’Igna e soci, di nuovo capaci nell’azzeccare la strada giusta pur avendo perso in inverno un paio di ingegneri-chiave. Segno che a contare più ancora degli uomini è la filosofia.
L’investimento sul giovane fenomeno Aldeguer, le prospettive di Marquez e soprattutto il coraggio di cambiare. Il dominio della rossa si spiega così