L’oro della maglia
LA PAROLA MAGICA È ESTERNALIZZARE ORA CI PENSA LA JUVE COSÌ FATTURA DI PIÙ Il Manchester Utd stacca tutti. Ma oggi gli accordi per vendere il merchandising sono tra club e intermediari qualificati
Il merchandising è uno di quei settori in cui i club italiani sono maggiormente in ritardo dalle migliori pratiche internazionali. Motivi di cultura calcistica, innanzitutto: da noi trionfa il falso, all’estero si è più propensi ad acquistare il prodotto ufficiale della squadra del cuore. E poi c’entra la globalizzazione: in un mercato sempre più polarizzato, l’attenzione del pubblico è concentrata su pochi brand, capaci di affermarsi negli ultimi decenni, proprio mentre la Serie A perdeva terreno. Allo stesso tempo, il merchandising è uno di quei settori più in fermento. D’altra parte, la voce della vendita di prodotti rappresenta in media il 15% del giro d’affari caratteristico dei top club europei, senza contare la ricaduta indiretta sul valore delle sponsorizzazioni tecniche.
I numeri Nella scorsa stagione il Manchester United ha fatturato 130 milioni di euro da questo segmento, il Bayern è arrivato a 110 (+18%) e il Barcellona ha toccato per la prima volta i 100 milioni. Le big italiane sono indietro, ma si stanno dando da fare, come dimostrano l’attenzione sempre maggiore al lifestyle e alle nuove generazioni e un magazzino che va molto al di là delle divise da gara. La Juventus è stata la prima a internalizzare la gestione di merchandising e licensing, a partire dal luglio 2015, rinunciando ai 6 milioni di minimo garantito di Adidas, assumendo oltre 40 persone e lanciando linee in autoproduzione. Una crescita impetuosa fino al picco dei 44 milioni di ricavi nel 2018-19, la prima con Ronaldo. Poi il crollo a causa del Covid e la risalita: l’anno scorso 28 milioni (4 in più del 2021-22). L’Inter ha riacquistato i diritti di retail e licensing da Nike nel 2019 e ha visto crescere il relativo giro d’affari dai 4 milioni del 2020-21 ai 6 del 2021-22 ai 13 del 2022-23. E quest’anno la stima è di 24 milioni. Trend in sviluppo anche per il Milan che nel 2022-23 ha sommato i 14 milioni dei ricavi dall’e-commerce ai 6 milioni delle royalties (in particolare da Puma) e a una fetta dei 6 milioni di Casa Milan, per la parte relativa allo store. Le due milanesi hanno sottoscritto una partnership simile con Epi, l’anno scorso rilevata dal colosso statunitense Fanatics, leader del settore con 900 properties nel mondo (tra cui Nba e Formula 1) e 8 miliardi di dollari di fatturato. La piattaforma online è gestita da Inter e Milan, mentre la logistica è affidata a Fanatics Italy che ha in mano anche l’operatività dei negozi fisici, nel quadro di una presenza in espansione sul territorio italiano (in portafoglio pure Atalanta, Bologna, Fiorentina, Lazio, Figc e Olimpia Milano).
Evoluzione È un mondo che non si ferma mai. Giorgio Ricci, che quel mondo l’ha frequentato da vicino come chief revenue officer della Juventus e adesso opera nello sport business in qualità di consulente/advisor con la sua società Alevit Consulting, spiega l’evoluzione delle strategie dei club a livello internazionale: «C’è stata per qualche anno la tendenza a internalizzare l’attività, in modo da cavalcare un business in crescita e avere un contatto diretto con i tifosi. Anche perché il merchandising è diventato strategico per la costruzione di un posizionamento di brand. Ma, recentemente, diversi top club come Real, Psg, Manchester United hanno deciso di affidarsi a grossi player per una distribuzione più capillare ed efficiente dei prodotti, su scala globale. Mi sembra che stia emergendo la consapevolezza che la strada migliore è proprio quella di affidarsi a specialisti del settore. L’importante è che il club mantenga sempre il controllo del proprio brand e il legame col consumatore finale».
Amazon dello sport Un tempo i partner tecnici prendevano in mano l’attività, con minimi garantiti e forme di revenue sharing. Poi è stato cavalcato il sogno della gestione in-house. Adesso lo scenario tende verso accordi tra club e intermediari altamente qualificati. A maggior ragione nell’era della digitalizzazione e dei grandi aggregatori: le squadre possono vendere i prodotti sia sui propri store sia su queste grandi piattaforme sul modello di Amazon, a una base di consumatori più ampia, assecondando la loro strategia di internazionalizzazione. C’è pure da considerare che le vendite sono influenzate dai risultati sportivi: il Milan ha fatto meglio dell’Inter nell’anno dello scudetto, ma nei prossimi mesi, con la seconda stella nerazzurra ormai ipotecata, i ruoli si invertiranno. E allora affidarsi a strutture in grado di ammortizzare gli investimenti consente una maggiore stabilità del business. Se il Real ha stretto una partnership con Legends fino al 2035, Fanatics è attivo con Psg, Chelsea, Atletico, Manchester Utd (da luglio passerà a Scayle). Considerato che il City si è affidato a Stichd (gruppo Puma) e che il Barcellona sta ancora cercando di vendere il 49% della divisione Blm, l’unico top club europeo convintamente ancorato alla gestione interna del merchandising è il Bayern, peraltro a vocazione locale. La tendenza, ora, è quella di esternalizzare. Potrebbe pensarci pure la Juventus.
La svolta
Le squadre possono vendere sia nei propri store che su grandi piattaforme a più consumatori