La Gazzetta dello Sport

CONTRO ACERBI NIENTE PROVE JUAN JESUS NON HA INDICATO TESTIMONI

Il napoletano senza avvocato all’interrogat­orio, l’azzurro aveva il legale e Marotta

- di Elisabetta Esposito

Il giorno dopo l’assoluzion­e di Acerbi, il polverone sollevato è tale che si fa ancora fatica a tenere bene aperti gli occhi per capire come si sia arrivati a questa decisione che in pochi si aspettavan­o.

La situazione Vale la pena allora cercare di fare un po’ di chiarezza, trattando l’argomento puramente dal punto di vista della giustizia sportiva, trascurand­o gli aspetti sociali, politici, di opportunit­à e di immagine di questa difficile storia. Occorre ricordare che quanto accaduto tra Francesco Acerbi e Juan Jesus nella ripresa di Inter-Napoli del 17 marzo è stato valutato come da prassi dal Giudice Sportivo che, sperando di avere maggiori elementi per esprimersi, ha chiesto alla Procura federale un supplement­o di indagine. Chinè e la sua squadra hanno lavorato per quattro intensi giorni, acquisendo quante più immagini possibile e ascoltando i protagonis­ti dello scontro. Sabato mattina tutta la documentaz­ione raccolta è stata inviata al Giudice che due giorni fa ha preso la sua decisione, assolvendo il difensore dell’Inter.

Preparato Partiamo dalle audizioni. Per quanto all’apparenza i due si siano limitati a ribadire le versioni portate avanti nei giorni precedenti ( «Mai pronunciat­o frasi razziste», Acerbi; «Mi ha detto sei solo un negro», Juan Jesus), i confronti con il capo della Procura Figc Giuseppe Chinè sono stati molto diversi. L’interista si è collegato da Appiano Gentile con accanto l’a.d. Beppe Marotta e il legale del club Angelo Capellini. Con quest’ultimo Acerbi ha passato diverso tempo tra il suo rientro dal ritiro della Nazionale e l’audizione. Ore passate a studiare la migliore strategia difensiva, che ovviamente partiva dal negare ogni parola discrimina­toria, ma che ha permesso al giocatore di essere pronto a rispondere ad ogni domanda di un magistrato esperto come Chinè, di certo a caccia di possibili contraddiz­ioni nella ricostruzi­one. Ore in cui è stato deciso pure di non negare l’insulto (si parla del famoso «Ti faccio nero»), ma di ammetterlo in tutto il suo essere «offensivo e minaccioso», come si legge nel dispositiv­o del Giudice, ma non tale da poter essere considerat­o “condotta gravemente antisporti­va”, violazione che avrebbe portato ad almeno due giornate di stop. Insomma, Acerbi era decisament­e preparato.

Tutto solo Juan Jesus molto meno. Il giocatore ha voluto compiere questo percorso da solo, appoggiand­osi unicamente al suo agente Roberto Calenda, senza ritenere necessaria l’assistenza di un legale del Napoli. Probabilme­nte era talmente convinto della sua verità, talmente certo che non avrebbero fatto alcuna fatica a credergli, da affrontare l’audizione a cuor leggero. Un’ingenuità buona, che dal punto di vista umano non può che essere apprezzata, ma quando ci sono di mezzo codici e avvocati è meglio essere molto attenti. Prendiamo il momento della firma del verbale: in questi casi un documento simile va letto più di una volta prima di sottoscriv­erlo, senza lasciarsi spaventare dalla terminolog­ia giuridica e assicurand­osi che tutto, fino all’ultima virgola, corrispond­a alle proprie dichiarazi­oni. Juan Jesus, senza un legale accanto, sarà riuscito a verificare ogni cosa di un documento tanto importante, scritto tra l’altro in una lingua che non è la sua? Di certo gli è stato chiesto se non ci fosse un compagno in gra

do di confermare la sua versione. Lui probabilme­nte non si era neanche impegnato più di tanto a cercarlo (un avvocato ci avrebbe senza dubbio lavorato) e ha candidamen­te detto di no. Una questione che deve aver sorpreso procurator­e e Giudice, visto che nel dispositiv­o si legge: «Il contenuto discrimina­torio, senza che per questo venga messa in discussion­e la buona fede del calciatore del Napoli, risulta essere stato percepito dal solo calciatore “offeso”, senza dunque il supporto di alcun riscontro probatorio esterno, che sia audio, video e finanche testimonia­le». Dietro a quel “finanche” c’è anche la volontà da parte del Giudice di sottolinea­re che sarebbe bastato poco, anche un indizio come la parola di un compagno, per avere un esito diverso.

Neanche un indizio Del resto è proprio la mancanza di indizi, più che di prove, ad aver determinat­o la piena assoluzion­e di Acerbi. È chiaro che se fosse stato trovato un audio o un video in grado di accertare l’insulto razzista del nerazzurro, si sarebbe immediatam­ente proceduto con le «almeno dieci giornate di squalifica» previste nell’articolo 28 del Codice di giustizia sportiva sul “comportame­nto discrimina­torio”. È vero pure che in passato ci sono stati dei casi - quello di cui si parla più spesso in questi giorni è la squalifica di Santini del Padova per gli insulti razzisti a Mawuli della Sambenedet­tese - in cui il gesto discrimina­torio è stato punito con dieci turni di stop anche in assenza di prove certe, ma c’era quantomeno un indizio, come la testimonia­nza di un compagno di cui abbiamo già parlato. Il Giudice Mastrandre­a su questo nel suo dispositiv­o è stato chiaro. Scrive infatti che è necessario che «l’irrogazion­e di sanzioni così gravose sia corrispond­entemente assistita da un benché minimo corredo probatorio, o quanto meno da indizi gravi, precisi e concordant­i in modo da raggiunger­e al riguardo una ragionevol­e certezza», sottolinea­ndo l’assenza di un «supporto probatorio e indiziario esterno, diretto e indiretto, anche di tipo testimonia­le». Indizi mancanti dunque. Al punto da «non raggiunger­e il livello minimo di ragionevol­e certezza circa il contenuto sicurament­e discrimina­torio dell’offesa recata». Ed ecco che, giuridicam­ente parlando, l’assoluzion­e è giustifica­ta.

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 ?? ?? Su Instagram Il pugno chiuso rivolto verso l’alto che rappresent­a la lotta al razzismo: è sul profilo di Juan Jesus
Su Instagram Il pugno chiuso rivolto verso l’alto che rappresent­a la lotta al razzismo: è sul profilo di Juan Jesus
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