La seconda carriera del playboy di talento paragonato a Federer
Nel 2017 trionfò nelle Finals ma poi si è perso Ora è rinato e nel 2024 ha già vinto 20 partite
Progressi Sono un giocatore diverso rispetto a un anno fa, e posso ancora migliorare
Dimitrov Fisicamente sta benissimo, la sua mano è favolosa, può fare ciò che vuole
Non è mai troppo tardi, vero Grigor? Anche se appartieni alla generazione di mezzo, travolta e schiacciata dalla mole leggendaria dei Fab Four e adesso, al tramonto della carriera, oscurata dalla Next Gen di Sinner e Alcaraz. L’ineffabile Dimitrov, di quella nidiata di campioni mai veramente esplosi, rimane senza dubbio il più talentuoso: sciaguratamente per lui, pensarono di paragonarlo a Federer dopo avergli visto dominare Wimbledon e Us Open juniores con un sublime rovescio a una mano. Era il 2008, e quell’ombra lo ha accompagnato per troppo tempo come un macigno e solo adesso, che finalmente vive con leggerezza gli ultimi fuochi del suo cammino agonistico approfittando della maturità dei trent’anni passati, può presentarsi per quello che è: il vero Grigor e non il falso Roger.
Lo squillo lontano A dire il vero, ci era riuscito già nel 2017, quando a Londra si era assiso sul trono delle Atp Finals da debuttante senza perdere neppure un match, per quello che fin qui resta il successo più importante della sua vita sportiva. Il conseguente numero 3 del mondo dietro Nadal e Federer sembrava aprirgli le porte alla successione tanto attesa, e invece nel giro di una stagione Grigor era già fuori dalla top ten, dove rientrerà domani in pompa magna: mancava da 260 settimane. Troppe, per uno con la sua classe, prima racchetta presa in mano a tre anni su consiglio del padre allenatore, che tagliò l’impugnatura per permettergli di muoverla meglio. Il ragazzo cresce e ha talento, ma fin da subito capisce che il tennis non può essere l’unica priorità, soprattutto per chi è cresciuto nella relativamente piccola Haskovo, legato alle radici ma al tempo stesso con il sogno di lasciarsi alle spalle un’infanzia con pochi sorrisi. Non gli fa bene l’accostamento troppo frettoloso con Federer, non gli fa bene la passione per le auto, i vestiti firmati e gli orologi di marca, non gli fa bene cambiare allenatori e paesi quasi ogni anno, dalla Spagna con i Sanchez alla Francia con Mouratoglou fino alla Svezia con Norman, passando per il ginnasiarca Rasheed che lo riempie di muscoli e gli fa perdere elasticità. Soprattutto, non gli fa bene la storia di tre anni con Maria Sharapova, perché la personalità di Masha lo rende « il fidanzato di». Le belle donne continuano a piacergli (e infatti è passato tra le altre dalla cantante Nicole Scherzinger alla modella Madelina Ghenea e a Miami è stata avvistata in tribuna un’altra ex, la Osmanova), ma è con l’ultimo allenatore, Jamie Delgado, ex di Murray, che Dimitrov ha trovato equilibrio, meno fisico e più testa: «Sono onorato di aver fatto parte dell’epoca dei Big Four, la nostra generazione ha vinto poco perché non ha preparato tutti i dettagli per riuscirci». Si riparte dalla vittoria a Brisbane a gennaio, la prima dopo quella notte magica del Masters, dai 20 successi in stagione, unico a raggiungere il traguardo a parte Sinner, e dalla terza finale in un 1000 dopo Cincinnati 2017 (vinta su Kyrgios) e Bercy 2023 (persa con Djokovic). Non è mai troppo tardi neppure per un figliol prodigo.