Quel tuffo nella storia
ADDIO A HÖLZENBEIN CON LA GERMANIA ‘74 SI PROCURÒ IL RIGORE CHE CAMBIÒ LA FINALE Non era uno dei leader, ma contro l’Olanda di Cruijff l’esterno fu decisivo nel 2-1 della rimonta Con l’Eintracht vinse la Coppa Uefa e tre Coppe di Germania
Quando alle 16.25 del 7 luglio 1974 Bernd Hölzenbein entrò nell’area di rigore olandese, destino volle che il suo piede destro - più o meno involontariamente - incrociasse quello del collega Wim Jansen. Caracollando con la palla al piede e incerto sul da farsi come chi attraversa le strisce pedonali con il semaforo giallo; Hölzenbein al momento del contatto allargò le braccia e poi cadde in avanti, forse enfatizzando - il frame di quell’azione rivisto oggi spinge a sospettarlo - o forse no, non era d’uso all’epoca. In Olanda gli diedero senza mezzi termini del mascalzone, per i più eleganti era invece la “Rondine”, proprio per l’inattesa qualità del suo volo a planare. Fu allora che la storia del calcio cambiò per sempre e l’omaggio a Hölzenbein - scomparso ieri a 78 anni - si accompagna al riconoscimento di aver innescato una svolta nello sviluppo degli eventi, sottraendo la consolazione del trionfo al Calcio Totale degli Orange, il famoso Totaalvoetbal nato dalla visione di Rinus Michels e dall’arte di Johann Cruijff: è così che di solito finiscono le rivoluzioni. A seguito di quel sussulto di tuffo di Hölzenbein - sì, negli anni confessò a mezza voce che aveva accentuato la caduta - l’arbitro inglese Jack Taylor assegnò un calcio di rigore alla Germania Ovest, il maoista barbuto Paul Breitner si prese la briga di pareggiare i conti - l’Olanda era infatti passata in vantaggio con un rigore di Neeskens - e più tardi arrivò il gol di Gerd Müller a consegnare alla Mannschaft la coppa del mondo. Nelle foto di quel giorno Hölzenbein custodisce nel sorriso sghembo la scintilla della felicità, ha i capelli arruffati e dimostra più della sua età. Aveva già 28 anni, il debutto in nazionale era arrivato solo nell’ottobre dell’anno prima. Il c.t. della Germania Ovest, Helmut Schoen, l’aveva arruolato perché, interpretando con elasticità il ruolo di mezzapunta, risultava utile in più posizioni. Nel radunare i frammenti dispersi a cinquant’anni di distanza da quel Mondiale, prende forma il mosaico di un momento storico che segnò l’età dell’oro della Germania Ovest, vincitrice due anni prima dell’Europeo, e orientò l’immediato futuro: alla tripletta dell’Ajax di Cruijff in Coppa dei Campioni (1971, 1972 e 1973) seguì infatti il tris (1974, 1975 e 1976) di quel Bayern Monaco che rappresentava - da Beckenbauer a Müller, da Maier a Breitner, da Hoeness a Schwarzenbeck - il blocco della nazionale. Ma liquidarla come la vittoria del calcio tradizionale capace di rimpallare l’urgenza di futuro dell’Arancia Meccanica significa considerare la questione dallo spioncino della porta. In realtà quella Germania giocava un calcio che oggi definiremmo moderno, con trame di gioco offensive orchestrate dal piede musicale del Kaiser Beckenbauer, proseguite dal talento di Overath e rese frizzanti da due esterni d’attacco - Grabowski e per l’appunto Hölzenbein - che partendo dalle fasce “entravano in campo” o fornivano alle punte - la biscia Müller e l’ariete Hoeness - l’innesco per i gol. Nei 14 anni (1967-1981, 420 presenze in Bundesliga e 160 gol) con l’Eintracht di Francoforte, Hölzenbein vinse la Coppa Uefa (1980: in quel torneo segnò alla Dinamo Bucarest con un colpo di testa da seduto) e tre edizioni della Coppa di Germania (1974, 1975 e 1981), per poi grattare gli ultimi ingaggi negli Usa. Ma il giorno che vale tutta una vita rimane quel 7 luglio del 1974, quando spinto da un’intuizione entrò nell’area di rigore olandese e ci diede la conferma che basta un soffio a scrivere un destino, incidendo nell’equilibrio geometrico e nell’architettura dei contrappesi che regolano le partite di calcio o, più banalmente, la vita.