GRANDE ALLENATORE E GRANDE UOMO PERCHÉ ANCELOTTI È TOP
Ancelotti è talmente bravo e talmente convincente che è riuscito a far digerire al pubblico spagnolo, particolarmente esigente in fatto di spettacolo, anche una prestazione prettamente difensiva. Non so se sia il miglior allenatore del mondo, di sicuro è un grandissimo: uno che conosce tutto del calcio, che maneggia la materia con esperienza e con saggezza e non si fa mai trovare impreparato. Contro il Manchester City sapeva di non potersela giocare alla pari, perché gli inglesi a campo aperto sono superiori e perché aveva troppi assenti (soprattutto in difesa): così ha impostato una partita di contenimento, che non è certo nelle sue corde, amando lui dominare il campo, ma lo ha fatto con dignità e dimostrando una notevole intelligenza.
Badate bene: dico intelligenza, e non furbizia, perché nelle scelte di Carletto c’è lo studio dell’avversario, il disegno di come lo si può bloccare o perlomeno arginare, e non c’è soltanto l’attesa nella speranza che qualcuno, là davanti, risolva il problema. Ancelotti ha deciso il copione in base alle forze che aveva a disposizione, e anche questa è una qualità che pochi allenatori posseggono. Lo conosco da una vita, Carletto, e per me ormai ha pochi, pochissimi segreti. Se dovessi descriverlo direi questo: è stato un grande giocatore, è un grande allenatore e, soprattutto, è una grandissima persona. Già, perché alla base del suo metodo di lavoro c’è l’umanità, c’è la sensibilità, c’è il dialogo con i suoi ragazzi.
Se non entri nella testa dei giocatori, e lui ha avuto la capacità di entrarci, non puoi pretendere che s’impegnino alla morte come hanno fatto a Manchester. Altro dettaglio che non va trascurato: non c’è campione che, allenato da Carletto, ne abbia parlato male. Vorrà dire qualcosa, no? Il fatto è che, troppo spesso, nel mondo del calcio si trascura il fattore umano e ci si sofferma su schemi, moduli e questioni tecniche. Ancelotti, invece, del fattore umano è un autentico fuoriclasse, e sta dimostrando con i risultati che questo aspetto del mestiere di allenatore può fare la differenza. Ha vinto in Italia, in Inghilterra, in Francia, in Germania e in Spagna, cioè nei principali campionati d’Europa. E lo ha sempre fatto con un preciso stile di gioco e senza mai venire meno alla sua natura e al suo carattere: è rimasto se stesso, il ragazzo semplice, serio e simpatico che ho conosciuto nell’estate del 1987 quando l’ho accolto a Milanello, e non è mai cambiato. Questa è una dote rara, perché spesso il successo dà alla testa, modifica i comportamenti, li stravolge. Con Carletto questo non è accaduto, perché i valori alla base della persona sono
solidi, indistruttibili. Non avrebbe senso giudicare il suo lavoro soffermandosi su una mossa tattica o su una trovata estemporanea che magari gli consente di vincere una partita: no, Ancelotti va analizzato per quello che ha saputo fare nel corso di una carriera
straordinaria. Gli auguro di conquistare questa Champions League, che sarebbe la quinta da allenatore (e chi mai c’è arrivato?), ma gli dico da subito che, anche se non trionferà, per me resterà un vincitore. A renderlo tale ai miei occhi sono le doti umane e caratteriali che riesce a trasferire alla sua squadra: non è da tutti.
Carletto continua a vincere dappertutto: a un calcio di qualità abbina l’eccezionale capacità di far gruppo