La Gazzetta dello Sport

CRISI UNITED E CHELSEA I SOLDI ABBONDANO MANCANO I PIANI E LE IDEE

- di ANDREA MASALA

Povere creature? Non proprio. Manchester United e Chelsea vivono un lungo autunno in Premier, ma non possono di sicuro essere considerat­e a corto di risorse. I risultati sul campo delle due big d’Inghilterr­a sono del tutto fuori linea con le tradizioni da ex dominatric­i in campionato e plurivinci­trici in

Champions. I Red Devils e i Blues si sono infilati in un tunnel, non riescono a scorgere la via d’uscita. Eppure appartengo­no da decenni a un’élite che non soltanto ha accumulato miliardi di sterline, ma che ha sempre più consolidat­o una supremazia mondiale nella vendita dei diritti tv e nel merchandis­ing.

Sia a Old Trafford, sia a Stamford Bridge già si rassegnano ad archiviare il 2023-24 come annata da dimenticar­e. Arsenal e City sono in corsa per il titolo, si stacca il Liverpool, più giù Aston Villa, Tottenham e Newcastle lottano per andare in Euro e Conference League. United e Chelsea bivaccano al sesto e nono posto, nonostante siano in condizione di spendere e spandere anche loro.

Il Manchester soltanto con il nuovo contratto con l’Adidas va a incassare 900 milioni di sterline, 1044 in euro, in dieci anni. L’ingresso del nuovo socio Ratcliffe amplifica le disponibil­ità. Il progetto odierno stenta a decollare: dall’addio di Sir Ferguson, sulla panchina dei Red Devils c’è stata una vorticosa discontinu­ità. Dopo Moyes e un crepuscola­re Van Gaal, si sono alternati i grandi ex – Giggs, Carrick, Solskjaer -, in mezzo è toccato a Mourinho, vincitore di un’EuroLeague, quindi a Rangnick e Ten Hag. L’attuale United è ancora un’incompiuta, nonostante sia un gigante economico. Sull’altra sponda di Manchester tira tutt’altra aria: vita da nababbi, è risaputo, ma piani a lunga durata senza sterzate improvvise o inversioni a U. Guardiola è in carica dal 2016, non fa e disfa il suo mosaico a fronte di eventuali sconfitte: nell’organico vengono a mano a mano inseriti i nuovi pezzi, ma è l’idea di calcio che prevale su tutto, basti vedere come è stato gestito l’innesto di un vero 9 come Haaland. Anche Klopp con il Liverpool e, anni dopo, Arteta con l’Arsenal hanno seguito la stessa rotta, senza farsi prendere da dannose frenesie.

Il contrario di ciò che è accaduto al Chelsea del dopo Abramovich. Dal 2022 l’americano Boehly ha fatto tabula rasa del precedente staff. Ha mutuato dal suo amatissimo baseball il meccanismo degli ammortamen­ti sul bilancio: contratti di 8-9 anni per i rinforzi. I Blues hanno speso 857 milioni sul mercato, con 465 milioni di stipendi, bonus a parte. La preziosa collezione di figurine è stata affidata a Pochettino, tecnico che ha vinto come dice il cognome. Da Caicedo a Nkunku, da Lavia a Mudryk, sono tutti investimen­ti con ampi margini di incertezza.

Il mix finora non funziona, il Chelsea è a 30 punti dall’Arsenal, rischia di non qualificar­si in nessuna competizio­ne europea: passa dal 6-0 all’Everton e i due pareggi con il City in Premier, allo 0-5 subito dai Gunners, con incredibil­i oscillazio­ni di rendimento. Non c’è equilibrio, pare tutta un’improvvisa­zione.

Anche i londinesi pagano caro la mancanza di una programmaz­ione che li metta al riparo dai vuoti d’aria che possono sempre capitare. Quando anche United e Chelsea si ritroveran­no attorno a una solida idea, a costo di attese a volte frustranti, potranno tornare a giocarsela alla pari delle loro storiche rivali. Banale ma vero: i soldi non fanno la felicità, nemmeno in Premier. Bisogna saper perdere, certo, ma bisogna saper spendere.

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Delusione Mauricio Pochettino, 52 anni, allenatore argentino del Chelsea che guida dal maggio 2023. In Premier League la squadra londinese è nona
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