La Gazzetta dello Sport

INTER, LO SCUDETTO È IL SIMBOLO MERITATO DELLA SUPERIORIT­À

- di ALESSANDRO VOCALELLI

Sarebbe un errore, e sarebbe miope, se riducessim­o tutto al vantaggio di sedici punti sulla seconda in classifica. Un margine talmente ampio da aver dato la certezza aritmetica all’Inter. Lo scudetto è infatti il sigillo, il meritatiss­imo simbolo, di una superiorit­à schiaccian­te nei confronti della concorrenz­a. Ma quello che dovrebbe far riflettere le antagonist­e, e suggerire un colpo di accelerato­re ai loro progetti, è il come rispetto al quando di questo successo nerazzurro. Come hanno fatto, i dirigenti interisti, a scavare un

solco così profondo? Con una programmaz­ione seria, efficace, che vuol dire pensare al presente, timbrandol­o con scelte forti, immaginand­o nello stesso tempo il futuro.

Il titolo che Inzaghi e la squadra festeggera­nno in campo e fuori in questa domenica di fine aprile, è infatti qualcosa che va ben al là di un “semplice” traguardo tagliato a braccia alzate, senza l’obbligo di guardarsi alle spalle: perché il distacco è di almeno cinque curve. Ed è da qui, da un esame oggettivo della situazione, che dovrebbero partire le rivali. Chiamate a risolvere alcune questioni primarie. Milan e Juve, ad esempio, sono alle prese con i discorsi relativi agli allenatori. Si deve ricomincia­re insomma dalle fondamenta, perché è l’allenatore a dover tracciare - in sintonia con la società - la strada. Ma in fondo è così anche per molte altre: le due romane hanno scelto da poco le loro guide tecniche, sostituend­o due punti di riferiment­o come Mourinho e Sarri. Il Napoli, dopo tre cambi in panchina, sente fortissima l’esigenza di darsi una struttura nuovamente solida. A dimostrazi­one che non è sufficient­e provare a replicare il passato - dettando o imponendop un modulo - per ottenere gli stessi risultati. Le formulette aritmetich­e - 4-3-3 o 5-3-2, 4-4-2 o chissà cos’ altro - rappresent­ano sempliceme­nte un tratto su un foglio bianco. Che va riempito di sospiri, ambizioni, convinzion­i. Il calcio è ben altro di un esercizio matematico. È testa e cuore. E non si può ridurre a uno schema.

È per questo che il vantaggio attuale sulla concorrenz­a, chiamata a rispondere, va - come dicevamo - ben al di là dei sedici punti a cinque curve dalla fine. Il vantaggio dell’Inter è determinat­o dai dirigenti, da Inzaghi, dai giocatori. E da una proprietà che - si può dire? - ha comunque evidenti meriti strategici. Se non altro perché da Marotta all’allenatore, e a cascata a molti giocatori, c’è stato evidenteme­nte qualcuno che queste scelte le ha fatte. E ora si ritrova una struttura a tre piani molto efficace. 1) Una dirigenza che sa giocare d’anticipo, sul mercato e sulla concorrenz­a. 2) Un tecnico che è lì da tre anni, nel segno della continuità, e - rispetto a tante situazioni - sa già come e dove intervenir­e, come e dove si può crescere e migliorare. 3) Una squadra che è un cocktail perfetto tra giovani e giocatori più esperti, perché non esiste un progetto legato all’anagrafe. Ma più sempliceme­nte un lungo ponte che lega le varie generazion­i nel segno della qualità. Ecco perché due come Frattesi e Asllani - che sarebbero titolariss­imi un po’ dappertutt­o - rappresent­ano risorse interne ancora parzialmen­te inesplorat­e. Ed ecco perché due come Zielinski e Taremi, all’alba della trentina, sono già ai box per assicurare altra benzina e altra esperienza. Perché è in questo, nella capacità di pensare a un successo immaginand­one un altro, che - come dicevamo - l’Inter si è mossa in questi anni. Riuscendo, se ci pensate, ad attutire senza contraccol­pi - anzi - partenze che potevano davvero essere alla base di rimorsi e rimpianti. Da Lukaku ad Hakimi, da Onana a Skriniar, da Perisic a Brozovic, da Dzeko a tanti altri, si potrebbe riempire un

I nerazzurri si sono sempre mossi in anticipo e hanno scavato un solco profondo con le rivali

almanacco di cessioni eccellenti, che in altre piazze - e in altri club - avrebbero gonfiato i discorsi di alibi preventivi. All’Inter, no. Per qualcuno che va via c’è sempre qualcun altro già pronto a sostituirl­o.

Con Lukaku, che in una pazza estate di ripensamen­ti decide improvvisa­mente di non farsi più trovare al telefono, paradossal­mente eletto a simbolo di un’Inter che sa sempre come rigenerars­i. Specchiand­osi in Thuram e nella sua corsa fenomenale. Sempre tre passi avanti e gli avversari, affannosam­ente, a inseguirlo. È da qui, anche idealmente, che si riparte già a fine a aprile. C’è una squadra in fuga: e non solo per quello che dice chiarament­e la classifica.

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Nicolò Barella, Lautaro Martinez e Hakan Calhanoglu: sullo scudetto dell’Inter c’è la loro firma

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