LE PRIME QUATTRO ALLA RIVOLUZIONE TRA PROPRIETÀ E TECNICI
Il curioso caso delle prime quattro, allo stato attuale, della classifica di Serie A. Tutte e quattro sono attese da un’estate di ribaltoni societari o tecnici. Parliamo di Inter, Milan, Juve e Bologna, anche se non è da escludere che l’Atalanta - con una partita in meno, il recupero contro la Fiorentina - possa scavalcare una tra Bologna e Juve (che stasera se la vedranno in una sorta di spareggio per il terzo posto). Ad ogni modo, oggi queste sono le prime quattro ed è della loro strana comunanza che parliamo.
A giorni l’Inter potrebbe anzi dovrebbe ritrovarsi sotto l’ombrello di una nuova proprietà. Dalla Cina di Suning e degli Zhang agli Stati Uniti, alla California di Oaktree, il fondo che sta per escutere il pegno, l’Inter data come garanzia di un debito che, salvo colpi di scena dell’ultimo minuto, non sarà rimborsato. Nulla sappiamo delle intenzioni degli americani, al di là di qualche soffiata di prammatica e di conforto. Si accontenteranno della ristrutturazione finanziaria e di bilancio dell’ultimo triennio e chiederanno di proseguire sulla stessa strada? Vorranno interventi più drastici? Andranno all’incasso con la cessione della società? Fiutata l’aria da tempo, l’a.d. Beppe Marotta nei mesi scorsi si è portato avanti con Taremi e Zielinski, presi a zero per fine contratto. Ha avuto una premonizione e si è premunito, però l’Inter, in vista di una stagione infinita, fino al Mondiale per club dell’estate 2025 in America, avrà bisogno di altri aggiustamenti e dovrà prolungare i contratti di due pezzi grossi come Barella e Lautaro, in scadenza nel 2026, onde evitare che altre società comincino a volteggiare sui cieli di Appiano. In questa transizione delicata, Marotta, con la sua esperienza, è il garante della continuità e della competitività dell’Inter. Nella speranza che Oaktree chiarisca in fretta piani e intenzioni, perché il limbo alla lunga danneggia tutti, migliori inclusi.
Il Milan è ancora alla ricerca dell’allenatore, prima pietra della nuova annata. Un casting lungo, forse troppo. Gli ottimisti: ci pensano bene perché non vogliono sbagliare. I pessimisti: non sanno da che parte girarsi. La squadra non è male, al di là degli ultimi risultati ballerini, però va rafforzata e finché non ci sarà il nuovo allenatore, nessun acquisto potrà essere concluso, almeno così vorrebbe la logica. Da fuori, si ha l’impressione di un’area tecnica non chiara. Chi avrà l’ultima parola su allenatore, acquisti e cessioni? Il proprietario Cardinale? Il consigliere speciale Ibrahimovic? L’a.d. Furlani? Il “technical director” Moncada? Il presidente Scaroni? Non è che questo Milan ha più correnti della Democrazia Cristiana di una volta?
Juve e Bologna sono avvinte come l’edera e non c’entra soltanto il faccia a faccia di stasera al Dall’Ara, la prima di Paolo Montero sulla panchina bianconera. Ormai si dà si per scontato che Thiago Motta lascerà il Bologna per trasferirsi nella Torino juventina e il passaggio da un risultatista come Massimiliano Allegri a un giochista come l’italo-brasiliano porterà con sé una rivoluzione tecnica, di cui la variazione di sistema, dal 3-5-2 al 4-3-3 o 4-2-3-1, sarà la parte più visibile e forse meno importante. Motta chiederà alla Juve di cambiare testa, di pensare in maniera diversa. Motta è un giochista temperato, non sfrenato. I primi passi da allenatore tra i grandi - i pochi mesi nel Genoa alla fine del 2019 - gli sono serviti per imparare
Inter, Milan, Juve e Bologna: sarà un’estate di ribaltoni. A Torino si passerà da Allegri a Motta, un giochista che ha imparato l’equilibrio
che con l’estremismo ideologico non si va lontano. Giocare bene con equilibrio, è questa la chiave. Motta ha la tempra e la maschera da Juve, però avrà bisogno di tempo, non gli si potrà chiedere tutto e subito. Se andrà sul serio a Torino, aprirà una bella buca a Bologna, dove però lavora Giovanni Sartori, un’altra figura alla Marotta, per competenza e lungimiranza. Di sicuro Sartori ha già individuato il sostituto, chiamato a un compito oneroso, pilotare il Bologna nella prima volta in Champions League, nel senso della competizione nata nel 1992. Un’eredità pesante da sostenere, però affascinante.