Riprovaci straniero
Da Rocco ad Ancelotti e Pioli vince il Diavolo degli italiani Ma c’è l’eccezione: Liedholm
Il pioniere Kilpin firma i primi titoli, poi tocca a Czeizler e Puricelli. Anni 60, svolta col Paròn
Con Sacchi e Capello altri trionfi degli allenatori nostrani, Zac e Allegri rispettano la tradizione
Il papà del Milan e di tutti gli allenatori del Milan si chiama Herbert Kilpin. Nasce a Nottingham, Inghilterra, nel retrobottega della macelleria di famiglia. Nove fratelli. Herbert fa l’apprendista in una fabbrica di pizzi e merletti, ma studia da perito tessile e poi cerca fortuna in Italia, a Milano. Assieme a un colorito gruppo anglo-italiano, fonda il Milan FootBall and Cricket Club. Ci sono anche i milanesi Piero e Alberto Pirelli. Ma Kilpin, soprannome “Lord”, è il numero uno: giocatore, capitano, dirigente. E allenatore. Sceglie i colori della “camicia di giuoco”: «Il rosso e il nero, perché saremo dei diavoli e faremo paura a tutti».
Primi successi Sì, con quei baffoni e quei mutandoni fanno un po’ paura. Il “giuocatore” e factotum Kilpin vince, nel 1901 e nel 1906, i primi due campionati. Il ruolo del tecnico è particolare, ibrido. Kilpin, che continua a giocare sino al 1908, fa la formazione, ma non dirige gli allenamenti. Ognuno per conto proprio. Sino al 1922, tempi di marcia su Roma e dintorni. In estate arriva l’austriaco Heinrich Oppenheim. Poco entusiasmo, zero titoli. Poi, in ordine sparso, strateghi stranieri. L’inglese Herbert Burgess, l’austriaco Engelbert Konig, gli ungheresi Jozsef Banas, Jozsef Violak, italianizzato Giuseppe Viola. E William Garbutt, inglese, gran bella testa, studioso, inventore di cose di calcio. Diventa il primo vero Mister. Prima e subito dopo la guerra il ruolo si sdoppia. Ecco la figura del direttore tecnico: Banas torna come allenatore (1937-1940), stavolta con il “badante”, l’accompagnatore, l’austriaco Hermann Felsner. Poi riemerge Violak, detto Viola. Titoli? Ancora zero.
Primo scudetto Fine del secondo conflitto mondiale. Si riparte pieni di entusiasmo e, nel 1951, dopo 44 anni, il Milan vince il primo scudetto. Allenatore l’ungherese Lajos
Czeizler, direttore tecnico, cioè accompagnatore, il padovano Antonio Busini. E vincono anche la Coppa Latina. In panchina ci va anche Gunnar Gren, il Professore del Gre-No-Li. Poca fortuna, ritorno in campo. La figura del giocatore/allenatore non convince sempre. Stagione 1953-54, ecco l’ungherese Béla Guttmann, personaggio straripante, ballerino e psicologo. Il
Milan si rinnova con Andrea Rizzoli. Sono acquistati Juan Alberto Schiaffino e Cesare Maldini. Si punta allo scudetto, il clima è effervescente, Béla sembra piacere a tutti e invece dopo 19 partite, a metà febbraio 1955, con i rossoneri al primo posto, è “dolorosamente licenziato”. Fatale un k.o. a San Siro con la Sampdoria. Pare però che l’esonero sia maturato dopo uno scontro con Juan Schiaffino, la star. Ahi, mai mettersi contro il Pepe. Il Milan vince lo scudetto con l’uruguaiano Hector Puricelli. Bella forza, si dirà, giocavano a memoria...
Made in Italy Vincono poco gli stranieri, gli oriundi di passaggio e di ritorno, le minestre riscaldate. In campo e fuori. Per tornare ai grandi veri successi il Milan si affida a panchine “made in Italy”. Ecco Gipo Viani, detto lo Sceriffo, un omone di Treviso. Ecco Nereo Rocco, “de profession bel giovine”, di Trieste (anche se di origini austroungariche: i bisnonni si chiamavano Rock). Quando Rocco, nel 1963, va via (momentaneamente) al Torino, provano con Luis Carniglia, argentino. Non bene, anche con l’”accompagnatoria” Viani. L’avventura di Don Luis dura 23 giornate, è sostituito dal monumentale svedese Nils Liedholm. Il Barone guida il Milan in tre momenti diversi: dal 1964 al 1965-66, dal 1977 al 1979. E, infine, dal 1984 alla 25a giornata della stagione 1986-87, la prima interamente targata Berlusconi. Il grande Liedholm però conquista un solo titolo, il decimo, quello della stella. Pochino, anche se, diciamolo, non aveva grandissimi campioni.
Tempi moderni Il resto è tutta roba “nostrana”, tutti allenatori fatti in casa, spaghetti alle vongole, pasta e fagioli, lasagne, piadine e cacciucco. Arrigo Sacchi di Fusignano, Fabio Capello di Pieris. Alberto Zaccheroni di Meldola, Max Allegri di Livorno, Carletto Ancelotti di Reggiolo. E ultimo, con tutti gli onori e gli abbracci, Stefano Pioli di Parma. Italiani (qualche cervello poi fuggirà all’estero) freschi, pimpanti e anche rivoluzionari. Insomma, vincenti. Transitano maestri dolci e soavi (Oscar Tabarez), imperatori scontrosi (Fatih Terim), brasiliani eleganti (Leonardo), olandesi intellettuali (Clarence Seedorf) e il possente Sinisa Mihajlovic. Allenatori nati all’estero, cittadini del mondo, uomini di buona cultura calcistica, ma perdenti di successo. O non vincenti. Senhor Fonseca, il passato non è incoraggiante. Però...