Corriere della Sera - La Lettura
L’idioma del giovane Borges disconosciuto e poi ritrovato
Torna il testo che l’autore argentino pubblicò in 500 copie nel 1928 e poi mai più
Mette un fremito di eccitazione voyeuristica spiare tra le pagine di questo Borges segreto e proibito. Dietro un titolo apparentemente asettico, L’idioma degli argentini, si cela uno dei suoi scritti più intimi e nell’apparente eterogeneità dei testi che vi sono raccolti — «appunti di passione filologica, storia letteraria, allucinazioni, illuminazioni…», elenca rapidamente lo stesso poeta nello spazio crepuscolare del prologo riassumendo in una riga «i miei interessi nel 1927» — si rivela la tenacia di temi sui quali, neanche trentenne, ritornava con l’insistenza, l’ossessione, l’oscuro timore, l’attrazione irresistibile, il dubbio inestinguibile dell’innamorato.
Che di un libro d’amore si tratti incoraggia a supporre la frase che Borges vi appone in epigrafe, un distico del malinconico e solitario filosofo inglese Francis Herbert Bradley: «Per l’amore insoddisfatto il mondo è un mistero. Mistero che l’amore soddisfatto sembra comprendere». Di quel mistero intravisto con cuore palpitante tratta dunque L’idioma degli argentini, vale a dire di un’intuizione inconfessabile. Sarà per questo che Borges rifiutò questo testo come già aveva respinto Inquisizioni del 1925 e La misura della mia speranza del ’26?
El idioma de los argentinos uscì in 500 copie illustrate con i disegni dell’amico Xul Solar dall’editore di Buenos Aires Manuel Gleizer nel 1928, dopodiché poté vedere solo una luce postuma, 12 anni dopo la morte dell’autore, nell’edizione madrilena di Alianz Editorial pubblicata nel 1998.
Leggendo ora, finalmente, la versione italiana tradotta con gusto e appassionata intelligenza da Lucia Lorenzini e curata con eleganza da Antonio Melis per Adelphi è inevitabile chiedersi ripetutamente le ragioni di quell’abiura. È plausibile, certo, come già era stato suggerito nella presentazione della riedizione di La misura della mia speranza, che Borges avesse rinnegato quegli scritti saggistici perché troppo addentro alle polemiche letterarie dell’epoca, o meglio, perché troppo audacemente polemici rispetto alla cultura argentina del suo tempo. Anche nella presente raccolta, di poco successiva alla Speranza, Borges si confronta con le correnti e i critici coevi, prende posizione rispetto al gongorismo, esprime ammirazione e gratitudine verso certi autori suoi conterranei e contemporanei, ritratta la propria considerazione della metafora, rivede la propria adesione all’ultraismo (la corrente letteraria antimodernista nei Paesi di lingua spagnola), contesta con