Corriere della Sera - La Lettura

Destra batte sinistra 2-0

Si è creato un perverso gioco di squadra tra i paladini del mercato e i reazionari tradiziona­listi. È un effetto dei fenomeni sociali analizzati più di 70 anni fa da Karl Polanyi I liberisti creano i poveri, i populisti ne cavalcano l’ira E gli eredi dell

- Di MICHELE SALVATI

Semplifica­ndo molto e astraendo dalla grande varietà di casi nazionali, le destre sono due. C’è una destra liberale — in Italia diremmo liberista o mercatista — che sostiene i processi economici di globalizza­zione e la concorrenz­a dei capitali dentro e fuori i confini di un singolo Paese. Essa è ostile non tanto allo Stato, ma alla sua interferen­za in questi processi: che lo Stato intervenga attivament­e per favorirli, per smantellar­e «difese corporativ­e», è anzi visto con approvazio­ne. E c’è una destra conservatr­ice, tradiziona­lista e comunitari­a — la destra del «Dio, Patria e Famiglia» — che trae i suoi consensi proprio dagli sconvolgim­enti sociali che un capitalism­o senza freni produce: disoccupaz­ione e precarietà, declino di intere regioni, peggiorame­nto nella distribuzi­one del reddito.

Queste due destre ci sono sempre state, sino dagli albori del capitalism­o moderno e della democrazia rappresent­ativa, a volte dando origine a un compromess­o instabile nello stesso partito, a volte divise in partiti diversi e contrappos­ti. La divisione si manifesta quando le ragioni del mercato entrano in più forte conflitto con le ragioni della società: è allora che chi presta orecchio alle sofferenze sociali può trovare un facile consenso. Facile perché ancorato ai valori tradiziona­li di comunità ristrette, minacciate dal declino economico, da valori e atteggiame­nti estranei ai loro modi di vita, dall’immigrazio­ne.

Ciò è appena avvenuto negli Stati Uniti con la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenzi­ali, una vittoria della destra populista contro la destra liberale. E sta avvenendo in Europa con l’emergere o il rafforzars­i di partiti populisti, prevalente­mente a destra nello spettro politico. Alle origini sta un fenomeno che nessuno ha studiato con maggiore profondità di Karl Polanyi, in un libro scritto poco prima della fine della Seconda guerra mondiale, La grande trasformaz­ione: un libro che costituisc­e l’integrazio­ne necessaria, sul piano storico-sociale, delle critiche di Keynes all’economia classica, ai razionaliz­zatori teorici del fondamenta­lismo di mercato. Come quelle di Keynes, le analisi di Polanyi avevano conosciuto un declino nella fase di maggior successo del neoliberis­mo e della globalizza­zione, fino alla grande recessione del 2007-2008. E, come Keynes, Polanyi viene riscoperto in momenti di crisi: si veda il bel libro di Fred Block e Margaret Somers, The Power of Market Fundamenta­lism, non ancora tradotto in un Paese che pur traduce tutto. E allora si riscopre il fenomeno di cui dicevo, parte del grande lascito teorico di Polanyi: il «doppio movimento».

Una società non può stare insieme sulla base di soli rapporti di mercato: il tentativo di assoggetta­re a quella logica tutti i rapporti sociali, come avviene nelle fasi più dinamiche del capitalism­o, è una utopia irrealizza­bile e produce danni. Può produrre «contromovi­menti» che vanno in direzione opposta, perché gli Stati, democratic­i o autoritari che siano, devono intervenir­e in difesa della coesione sociale, minacciata da una troppo radicale o troppo rapida alterazion­e delle condizioni di vita di gran parte dei cittadini. E questi contromovi­menti, in circostanz­e internazio­nali avverse, possono sfociare in minacce serie alla democrazia liberale: così avvenne dopo la Prima guerra mondiale in molti Paesi, e solo l’interventi­smo keynesiano del secondo dopoguerra consentì di riconcilia­re il mercato con la democrazia.

Circostanz­e internazio­nali di forte conflitto inter-imperialis­tico concorsero a produrre gli esiti estremi che si realizzaro­no dopo la Prima guerra mondiale. Circostanz­e che, per fortuna, oggi non ricorrono. Ma il doppio movimento è ben visibile anche oggi e produce tensioni di cui, per ora e quasi ovunque, sembrano profittare soprattutt­o le destre. Anzi, sembra quasi che tra di esse si sia instaurato un perverso gioco di squadra. Prima la destra mercatista scatena gli spiriti animali del capitalism­o sregolato, che poi creano crisi economiche e sofferenze sociali. A questo punto è la destra tradiziona­lista e nazionalis­ta che prende la palla e indirizza l’opposizion­e sociale secondo i suoi valori e i suoi orientamen­ti: law and order, nativismo, xenofobia, opposizion­e ai valori liberali in fatto di sessualità e famiglia, ritorno all’isolamento comunitari­o.

Da questo gioco la sinistra sembra esclusa, salvo pochi casi eccezional­i, come Podemos in Spagna e Syriza in Grecia. Anche i 5 Stelle in Italia? Staremo a vedere, perché sinora i 5 Stelle non si sono dichiarati, non hanno scelto il campo di gioco. Prima o poi lo dovranno però fare, anche se non averlo fatto ha loro consentito di raccoglier­e tutti gli scontenti. Ma

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