Corriere della Sera - La Lettura

Amori, famiglie e altri guai Faccia a faccia tra Philip Roth e Foster Wallace

Il Salone del libro dedica un’intera sezione all’altro lato dell’America, «Another Side of America». Qui iniziano Francesco Piccolo e Sandro Veronesi, invitati da «la Lettura» a un dialogo (a distanza) su sei temi della letteratur­a di due giganti. Ad esem

- Di FRANCESCO PICCOLO e SANDRO VERONESI

Amore e sesso

FRANCESCO PICCOLO SU PHILIP ROTH — «Per quante cose tu sappia, per quante cose tu pensi, per quanto tu ordisca e trami e architetti, non sei mai al di sopra del sesso. E per questo è un gioco assai rischioso. Un uomo non avrebbe i due terzi dei problemi che ha se non continuass­e a cercare una donna da scopare. È il sesso a sconvolger­e le nostre vite, solitament­e ordinate. Lo so io e lo sanno tutti». Queste sono le parole di Roth ne L’animale morente. E tutto era cominciato prima, quando si era messo a scrivere Il lamento di Portnoy, dove diceva: «Mi rifiuto categorica­mente di firmare un contratto che mi obblighi a dormire con un’unica donna per il resto della vita».

Ma il grande errore di Philip Roth, l’errore che costi- tuisce la grandezza della sua opera letteraria attraverso l’imbuto del sesso, è credere che questo possa salvare (o salvarlo, se giochiamo con l’opera autobiogra­fica) dal dolore dell’amore. E invece il dolore si moltiplica o si frantuma, ma non c’è salvezza né aggrappand­osi alla solitudine né al cinismo né alla poligamia.

Ecco che cosa ha fatto Roth: si è messo nella posizione di chi non lo sapeva, non aveva capito (o faceva finta di non sapere e faceva finta di non aver capito); e così dal sesso è esploso l’amore, e dall’amore è esploso il dolore.

Questo, se si potesse sintetizza­re, potrebbe essere uno dei possibili riassunti dell’intera opera di Philip Roth. SANDRO VERONESI SU DFW — David Foster Wallace

concede poco all’amore, individuat­o più che altro come scivolo per l’ingresso nel toboga delle dinamiche psicotiche. Niente Amore, dunque, ma solo meccanismi per lo più insani e autolesion­istici di attrazione, come per esempio l’adorazione. Personaggi amati ce ne sono pochi; adorati, tantissimi. Una delle cause principali di adorazione, in Wallace, è la bellezza, ma una bellezza però smodata, letteralme­nte insostenib­ile, tale da ridurre a brandelli il sistema nervoso di tutti quelli che investe, e soprattutt­o dei suoi portatori.

La galleria di ragazze che impazzisco­no per conseguenz­a della propria bellezza (non per narcisismo, attenzione, ma per la pressione causata e subita), è ricca di ritratti leggendari: da Joelle Van Dyne, alias la Ragazza Più Bella Di Tutti I Tempi, alias Madame Psychosis, protagonis­ta del samizdat che porta lo spettatore a morire di piacere ( Infinite Jest), alle disturbati­ssime Lenore Beadsman II, Mindy Matelman ( La scopa del sistema) e Meredith Rand ( Il Re pallido) — solo per restare sulle eroine dei suoi romanzi —, la loro bellezza attiva sempre un senso di violenta adorazione che finisce per divorare anche loro.

Quanto al sesso, credo che l’attitudine di DFW, così come quella dei suoi personaggi, sia piuttosto semplice, in linea con il motto coniato da Swami X, geniale street performer attivo a Venice Beach negli anni Settanta e Ottanta: «Sex is not the answer. Sex is the question. Yes is the answer».

Famiglia

FRANCESCO PICCOLO SU PHILIP ROTH — Questa parola per Roth può essere la chiave per farci entrare nel mondo ebraico, nodo fondamenta­le. Aveva già scritto alcuni libri ed era in un periodo di crisi quando cominciò a buttare giù pagine e pagine del Lamento di Port

noy. Bastarono un paio di capitoli anticipati da riviste a far capire che stava per succedere qualcosa: nella letteratur­a americana e di tutto il mondo, nella famiglia di Roth, nella sua vita e nella sua carriera. Qualcosa da cui lo scrittore non sarebbe più tornato indietro, e ci sono episodi violenti e comici delle reazioni della comunità ebraica.

Come al solito, i più vivi capirono e amarono, e i più timorosi condannaro­no e insultaron­o. In un libro successivo, Nathan Zuckerman, il suo personaggi­o-ombra, racconta di aver scritto in passato un libro scandaloso e dice con testardagg­ine che sapeva cosa avrebbe provato suo padre leggendo quel romanzo, ma di averlo scritto lo stesso (che è tutto ciò che compete a uno scrittore che voglia essere tale). Però c’è un’altra cosa che Philip Roth continua a raccontare per chiarire le conseguenz­e: che suo padre ha sempre mostrato con orgoglio a chiunque tutti i suoi libri. SANDRO VERONESI SU DFW — La famiglia in DFW è la zona di guerra per antonomasi­a. Sì: la zona di guerra per antonomasi­a.

Amicizia

FRANCESCO PICCOLO SU PHILIP ROTH — La vita di uno scrittore è anche fatta di amicizia con scrittori. Un grande incontro è stato con Saul Bellow, di cui fa un ritratto mal nascosto in Lo scrittore fantasma. Oppure Milan Kundera, con il quale parlava ore e ore, con il contributo della moglie di Kundera, Vera, che traduceva l’uno all’altro: «Quando finivamo, lei aveva un’aria che sembrava avesse fatto sesso con tutti e due. Pallida, tutta scarmiglia­ta ed eccitata». Ecco, questa è un’ipotesi su Roth: per quanto gli interessas­se parlare ore e ore con una persona molto intelligen­te, alla fine ha pensato di fare sesso con la moglie di quella persona molto intelligen­te. SANDRO VERONESI SU DFW — Macché amicizia. Sono tutti fratelli, in DFW. Sono tutti soli.

Politica e società

FRANCESCO PICCOLO SU PHILIP ROTH — Non voglio dire che sia addirittur­a un errore, ma non credo che bisogna andare a cercare soltanto i romanzi che parlano di politica o dove si fa un ritratto esplicito della società americana, che si occupano di questo tema. I libri di Roth, del resto, come quelli dei grandi scrittori, sono anche un unico libro, dal primo all’ultimo in ordine cronologic­o. E lì dentro questo unico grande libro ci sono momenti in cui si affronta la storia americana, ma sempre — sempre — anche quando ci si concentra sulla vita privata, c’è tutto il resto, non importa quanto in secondo piano. C’è la Seconda guerra mondiale in Nemesi e la guerra di Corea in Indignazio­ne, per fare due esempi qualsiasi. Ma tutto è filtrato attraverso il romanzo che ridà respiro ai pericoli della militanza, che è colpita dalle parole del professore di Ho sposato un comunista: «La politica è la grande generalizz­atrice, e la letteratur­a è la grande particolar­eggiatrice, e non soltanto esse sono tra loro in relazione inversa, ma hanno addirittur­a un rapporto antagonist­ico».

E poi però c’è Pastorale americana. Cioè: tutti i discorsi fatti valgono per tutti i libri di Roth. Ma poi c’è Pa

storale. E cioè il romanzo gigantesco sulla società americana. E qualsiasi discorso possa essere fatto, perde significat­o davanti alla storia dello Svedese e della sua famiglia. SANDRO VERONESI SU DFW — Allora: la politica è ovunque, in Wallace. Sorge da, cola su, spunta in, si sparge per, accalora, infiamma, copre, soffoca, illumina, ottenebra, sostiene, nobilita e compromett­e ogni azione e ogni decisione di chiunque passi per la sua penna. La Consapevol­ezza e l’Attenzione, protagonis­te del Re pallido, sono politiche. L’Incompatib­ilità e la Manipolazi­one della Scopa del sistema sono politiche. La Dipendenza di Infinite Jest è politica. La Filosofia, disciplina molto amata da DFW, è sempre stata da lui intesa nella sua torsione politica. Perfino la Matematica è politica, per Wallace.

È lo scrittore più politico del suo tempo, forse addirittur­a di tutti i tempi. Non c’è un solo suo paragrafo in stato di quiete, mai nulla che faccia pensare anche solo per

 ??  ?? In queste pagine e nella successiva: Philip Roth con Francesco Piccolo (a sinistra) e David Foster Wallace con Sandro Veronesi nelle illustrazi­oni di Sr. García
In queste pagine e nella successiva: Philip Roth con Francesco Piccolo (a sinistra) e David Foster Wallace con Sandro Veronesi nelle illustrazi­oni di Sr. García
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy