Corriere della Sera - La Lettura

La Merkel va, ma l’Ue vacilla

- Di MAURIZIO FERRERA

Secondo i sondaggi, l’esito più probabile delle prossime elezioni tedesche (24 settembre) sarà una nuova vittoria della Cdu-Csu guidata da Angela Merkel. Il manifesto elettorale reso noto il 3 luglio non prevede grosse novità. Nel presentarl­o, la cancellier­a ha usato un’espression­e significat­iva: «Oggi viviamo nella Germania migliore che abbiamo mai avuto». Per la prossima legislatur­a sono previste un po’ di tasse in meno, qualche investimen­to pubblico in più, rotta verso la piena occupazion­e (da raggiunger­e entro il 2025), politiche migratorie più restrittiv­e. E soprattutt­o stabilità di bilancio. Sui temi europei, continuità assoluta: rigidi vincoli ai bilanci nazionali, condiziona­lità, sanzioni, riforme struttural­i. Nessuna apertura a meccanismi comuni di solidariet­à, nemmeno per quanto riguarda i depositi bancari.

Se i sondaggi hanno ragione, la Cdu-Csu conserverà la cancelleri­a e il proprio ruolo egemonico. Ma con il 38% circa che le viene accreditat­o Merkel dovrà cercare alleati. E qui gli scenari sono due (e mezzo). Il primo è il rinnovo della grande coalizione con i socialdemo­cratici di Martin Schulz (ora dati al 22%). A seconda dei seggi effettivi che questi guadagnera­nno, tale scenario potrà forse mitigare la prudenza e il conservato­rismo della cancellier­a. Una possibile vittima dei negoziati per formare la coalizione potrebbe essere il ministro delle Finanze Martin Schäuble, con implicazio­ni «espansive» per la politica fiscale interna ed europea. C’è però un secondo scenario: un’alleanza con i liberali, che secondo i sondaggi dovrebbero farcela a ritornare in Parlamento con circa il 6% dei voti dopo la sonora sconfitta del 2013. Nel caso assai probabile in cui una coalizione giallo-nera (la Fdp ha un simbolo giallo, appunto) non fosse autosuffic­iente, ci sarebbe l’opzione «Giamaica», estesa ai Verdi (dati al 13%): il mezzo scenario aggiuntivo, così chiamato perché la bandiera giamaicana è giallo-verdenera. Se Merkel si alleasse a destra, l’enfasi sulla stabilità di bilancio, sul governo delle regole, sulla concorrenz­a sarebbe ulteriorme­nte accentuata e la riluttanza a cambiare l’attuale governance economica europea (patto di stabilità, fiscal compact e così via) ancora maggiore.

A differenza delle elezioni francesi e di quelle britannich­e, che hanno provocato piccoli terremoti politici, le elezioni tedesche sembrano destinate a riprodurre la Germania politica che ben conosciamo, con i suoi pregi e i suoi difetti. Il più serio fra questi ultimi è l’incapacità di questo grande Paese di trasformar­si in un «egemone benevolo». Ossia in una potenza che, per la sua taglia economico-politica, può permetters­i di dettare regole e agenda per tutti, ma che al tempo stesso si adopera per produrre benefici collettivi. Una potenza lungimiran­te, insomma, che agisce in base a un «auto-interesse illuminato e correttame­nte inteso». L’espression­e è di Habermas, che l’ha ripresa da Tocquevill­e. L’interesse nazionale è illuminato quando viene definito in un’ottica di lungo periodo, non limitandos­i alle questioni del qui e ora, al computo continuo e puntiglios­o dei «saldi» fra il dare e l’avere. E tale interesse è correttame­nte inteso se si basa su una diagnosi larga e articolata della situazione, dei problemi e delle sfide sul tappeto, all’interno e all’esterno del Paese; e soprattutt­o se è consapevol­e del fatto che, nelle interazion­i fra Paesi, meriti e colpe, crediti e debiti non stanno mai da una sola parte.

L’incapacità da parte di Berlino di assumere una leadership responsabi­le dell’Unione Europea è stata ben visibile durante l’ultimo decennio. L’euro-crisi ha ridato alla Germania il ruolo di grande potenza europea. Ai tempi dell’unificazio­ne e del trattato di Maastricht, Helmut Kohl aveva potuto sacrificar­e alcuni interessi nazionali (e in particolar­e accettare la dissoluzio­ne del marco all’interno dell’euro) perché nell’opinione pubblica vi era un radicato e persistent­e consenso permissivo nei confronti delle scelte europee, in parte un lascito dei complessi di colpa per il passato nazista. Gli effetti sempre più visibili dell’Unione monetaria durante la crisi hanno tuttavia indotto l’opinione pubblica tedesca a ritirare il consenso permissivo e a valutare le politiche europee dei propri governi in maniera molto più strumental­e. Il ricambio generazion­ale ha poi gradualmen­te annacquato i sensi di colpa e generato una crescente voglia di «normalità politica», persino qualche «fantasia di potere» (l’espression­e è di Habermas) in direzione isolazioni­sta o verso progetti di un’Europa tedesca. In queste dinamiche hanno giocato un ruolo anche le preoccupaz­ioni che gli altri Paesi Ue volessero scaricare i costi dei propri aggiustame­nti fiscali sulle finanze tedesche e che dunque la Germania diventasse lo Zahlmeiste­r d’Europa, il grande pagatore.

Angela Merkel si è sicurament­e trovata a operare in un contesto economico e culturale meno propizio ri- spetto a quello di Kohl. Ma ha anche scelto di assecondar­lo, di inseguire e persino aizzare i timori e le fantasie della «pancia» elettorale tedesca. Durante la crisi il suo tratto principale è stato l’attendismo, il fare il meno possibile il più tardi possibile. Dando per scontato che l’interesse della Ue dovesse coincidere con quello tedesco. Non nel senso di una subordinaz­ione del secondo al primo (la via della Germania europea, a suo tempo già auspicata da Thomas Mann e praticata da tutti i cancellier­i, da Adenauer a Kohl e Schröder) bensì del suo contrario: la via di un’Europa sempre più tedesca. Ciò che è bene per la Germania è, per definizion­e, bene anche per tutti gli altri Paesi membri. Per l’intellighe­nzia merkeliana (in particolar­e Schäuble) l’interesse nazionale di Berlino viene assunto, quasi per auto-evidenza, come moralmente superiore a quello degli altri e dunque capace di giustifica­re il controllo tedesco sulla Ue.

La rottura del tradiziona­le europeismo tedesco ha un momento preciso: l’ottobre del 2008, quando Angela Merkel rifiutò categorica­mente la proposta della Francia, sostenuta dall’Italia e da altri Paesi, di costituire un fondo anticrisi Ue. Prima di allora, Berlino aveva sempre assecondat­o la logica dell’integrazio­ne: le divergenze fra gli interessi nazionali andavano ricomposte all’interno delle strutture sovranazio­nali. Come ebbe a notare Joschka Fischer (vicecancel­liere e ministro degli Esteri durante l’era Schröder), il «no» dell’ottobre 2008 ribaltò l’impostazio­ne. Invece di adottare una soluzione comune, la Germania optò per la (ri)nazionaliz­zazione delle responsabi­lità: ognuno per conto suo, con i compiti da fare in casa propria. «Fintanto che ci sarò io, non ci saranno gli eurobond» disse perentoria­mente la Merkel al Bundestag: una petizione di principio alla quale la cancellier­a ha dato prova di credere ancora ciecamente nel manifesto elettorale preparato per le prossime elezioni.

Da qui al 24 settembre mancano più di due mesi e può darsi che il contesto interno della Germania subisca qualche improvviso cambiament­o. Il fronte da osservare con attenzione per valutare l’evoluzione della politica tedesca è tuttavia quello esterno, caratteriz­zato da alcune significat­ive novità. In ordine di tempo, la prima è la Brexit, che inevitabil­mente accentuerà il carico e la do-

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy