Corriere della Sera - La Lettura
Gerda Taro, il ritratto della guerra
Oscurata dal «più grande fotoreporter bellico della storia», quel del quale lei contribuì a costruire il mito, «la prima fotoreporter uccisa in azione» ritrova la ribalta grazie a un romanzo. Morì sul fronte spagnolo il 26 luglio 1937. Vive nelle parole di Louis Aragon che partecipò al suo funerale con Neruda: «Tutti i fiori del mondo si sono incontrati a Parigi»
Per Hemingway era una «puttana»; per Aragon (che con Neruda compose l’elogio che i due poeti lessero in sua memoria) «un’eroina». Divenne famosa durante la Guerra civile spagnola, ma il suo nome è stato a lungo nascosto da quello del compagno della sua breve vita — nascosto dietro «il più grande fotoreporter di guerra della storia», Robert Capa.
Di Gerda Taro (nata Gerta Pohorylle il 1° agosto 1910 a Stoccarda, in Germania) si è celebrato quest’anno l’ottantesimo anniversario della morte (26 luglio 1937) sul fronte di Brunete, nel corso di una delle battaglie più cruente della Guerra civile. Aveva 26 anni. Alla «prima fotoreporter uccisa in azione», come scrisse il magazine «Life» il 16 agosto 1937, è dedicato La ragazza con la Leica, di Helena Janeczek, nelle librerie da giovedì per i tipi di Guanda. Poetessa e scrittrice nata a Monaco di Baviera (ma da oltre trent’anni vive e lavora tra Milano e Gallarate), Janeczek sarà protagonista sabato 9, al Festivaletteratura di Mantova, dell’incontro «Ricostruire una vita. Racconti di donne».
A «la Lettura», che l’ha incontrata, ha raccontato di aver scavato, per cinque anni, tra fotografie, lettere, documenti: «Gerda è stata spesso dipinta come una pasionaria, un’eroina rivoluzionaria (ad avvicinarla giovanissima alle idee di sinistra sarà uno dei suoi primi flirt, un giovane studente di medicina russo, Georg Kuritzkes, impegnato a combattere nelle Brigate internazionali, ndr) o come una femme fatale. Credo che nessuna delle due definizioni corrisponda al vero. Era s of i s t i c a t a , g l amorous, appassionata e assetata di l i bertà » . Anche g r a - zie all’imponente biografia Gerda Taro. Una fotografa rivoluzionaria nella Guerra civile spagnola di Irme Schaber, uscito nel 2007 per DeriveApprodi e purtroppo oggi quasi introvabile, della pequeña rubita, la «biondina» come la chiamavano i soldati spagnoli delle file repubblicane, sappiamo più di quanto raccontano le foto che la ritraggono: è bella ed elegante, colta e poliglotta. E colleziona cuori e amanti, ragione per cui per Hemingway è una «puttana». Insomma, è una donna libera.
Cresciuta in una famiglia benestante di ebrei polacchi, Gerta collabora con i movimenti studenteschi socialisti. Nel marzo del 1933, poche settimane dopo l’ascesa alla Cancelleria di Adolf Hitler, viene arrestata con l’accusa di attività sovversiva e propaganda antinazista. Resta in carcere 17 giorni, grazie anche al passaporto polacco. Ora però i Pohorylle hanno paura, si separano. Gerta fugge a Parigi con un’amica, Ruth Cerf. Ha 23 anni, non rivedrà mai più la sua famiglia. Nella capitale francese le due giovani entrano in contatto con i rifugiati e i circoli antifascisti. Nel settembre del ’34 conosce Robert Capa. Squattrinati, ambiziosi, inseguono la gloria. Frequentano i caffè di Montparnasse — seduti ai tavolini di uno di essi, il Dôme, li immortala per sempre, sorridenti e innamorati, una foto, il solo momento di loro due insieme, scattata da Fred Stein. Capa a quel tempo si chiama ancora Endre Friedmann. Scappato dall’Ungheria di Miklós Horthy, è un fotografo con un talento pronto a sbocciare. Gerta lo capisce. È suo il colpo di genio di «fabbricare» il personaggio Capa. Gli inventa uno pseudonimo, diventa la sua agente: gira per le redazioni vendendo le foto di questo «fotografo americano» a un prezzo triplicato rispetto a quelli correnti, lascia intendere che avere quegli scatti è un privilegio. È a questo punto che anche lei decide di cambiare pelle. Gerta Pohroylle diventa Gerda Taro.
Il colpo di Stato in Spagna del luglio ’36 apre a Gerda e Robert la possibilità di seguire sul campo la guerra civile tra la legittima Repubblica e i fascisti del Caudillo de España, il Generalísimo Francisco Franco. Insieme inventano la fotografia di guerra moderna: secondo Richard Whelan, il grande biografo di Capa scomparso nel 2007, un’autentica autorità per tutto quel che riguarda il fotoreporter, «lavorare insieme (a Gerda) come pari e dividere i crediti fotografici di tutti i lavori realizzati come team era, per Capa, l’idea perfetta di matrimonio». In agosto sono a Barcellona. Lei punta l’obbiettivo sul lato «umano» della guerra fotografando i civili in fuga; lui, sulla collina di Cerro Muriano, nei pressi di Cordoba, il 5 settembre scatta una delle immagini più iconiche del Novecento: la «Morte di un miliziano», il combattente repubblicano reso per sempre immortale dalla foto che lo ritrae — la camicia bianca, le braccia spalancate, il fucile stretto nella mano destra, le ginocchia piegate — nel momento in cui un proiettile lo colpisce al petto. Uno scatto dalla paternità ancora oggi incerta, visto che nei primi mesi della guerra Gerda e Robert viaggiano sempre insieme scambiandosi spesso le macchine fotografiche.
All’inizio del ’37 Gerda firma un contratto con «Ce Soir» e, mentre Capa rimane al nord, lei realizza i suoi reportage da sola. Prima da Madrid poi da Valencia, allora capitale della Spagna repubblicana, mostra i bombardamenti sui civili stremati dalla fame, la vita nelle trincee, la drammatica quotidianità negli ospedali e gli orfanotrofi. Il 6 luglio prosegue verso Brunete, a ovest di Madrid. La propaganda fascista afferma che il Paese è sotto il controllo dei nazionalisti, le immagini di Gerda diffuse dalle redazioni di tutto il mondo provano invece che i repubblicani li hanno costretti a retrocedere. Meno di tre settimane dopo, il 25 luglio, Gerda viene travolta dai cingoli di un tank «amico» durante un’improvvisa ritirata dal campo di battaglia. Il trasferimento all’ospedale di El Escorial dura ore, ma lei non perde conoscenza: contiene l’emorragia del ventre con le mani, si preoccupa per la sorte dei compagni e della sua apparecchiatura fotografica. Muore all’alba del giorno dopo. Il corpo viene trasferito a Parigi, dove il 1° agosto, giorno del suo 27º compleanno, una folla immensa la accompagna al cimitero di Père Lachaise sulle note della Marcia funebre di Chopin. Louis Aragon, che partecipa al funerale con Pablo Neruda, qualche anno dopo ricorderà: «I parigini hanno dato alla piccola Taro una sepoltura straordinaria, dove tutti i fiori del mondo si sono incontrati. Capa, al mio fianco, piangeva, e quando il corteo funebre si è fermato ha nascosto i suoi occhi nella mia spalla».
Capa non la dimenticò mai. Nonostante i molti flirt con donne bellissime, incluse Ingrid Bergman e Vivien Leigh, Gerda rimase l’amore della sua vita. Morì calpestando una mina antiuomo in Indocina nel 1954, non parlò mai in pubblico della pequeña rubita. Solo agli amici più cari confidò che quel 26 luglio 1937, a Brunete, era morto anche lui. Alcuni mesi dopo la scomparsa di Gerda pubblicò il volume Death in the making, una selezione di immagini scattate insieme, con una dedica: «A Gerda, che trascorse un anno in Spagna. E lì rimase per sempre».