Corriere della Sera - La Lettura
Le cinque vie della classica
In Italia l’ipoteca punitiva delle avanguardie del secondo Novecento incombe ancora, all’estero no. Il rinnovamento viene dai quarantenni stranieri. E dalle loro soluzioni
Abbiamo sofferto tutti. Noi compositori, gli interpreti, il pubblico. Per decenni l’espressione «musica contemporanea» ha significato noia, disagio, fastidio. E spesso in sala da concerto ci siamo sentiti violentati, perché di fronte a un quadro che ti disturba puoi voltare lo sguardo ma non puoi chiudere le orecchie se ti trovi davanti a un brano ostile. Così alle nuove leve della composizione, nipoti dei protagonisti delle avanguardie del secondo Novecento, si è presentato un panorama desolante: nessuno voleva suonare e tantomeno ascoltare la loro musica. Peggio: dietro alla maschera intellettuale e concettosa imposta dalle circostanze, loro stessi nascondevano la frustrazione di scrivere pagine che non piacevano nemmeno ai propri autori. Intorno, nel frattempo, romanzieri, registi, pittori, videoartisti intrattenevano un felice rapporto con un pubblico che li inseguiva, li pagava, spesso li adorava. Mentre loro, i compositori, scivolavano verso una marginalità sempre più imbarazzante. Bene: le cose sono cambiate. Molto. E, se nel nostro Paese le cose si muovono lentamente, nel resto del mondo la generazione dei quarantenni ha mutato drasticamente rotta e sta inventando nuova musica per la sala da concerto che è estremamente godibile, piace e riscuote successo. Tanto che si può ormai tracciare una mappa di cinque nuovi atteggiamenti estetici. Che — attenzione — non sono l’espressione di scuole o gruppi ma rappresentano categorie di soluzioni strettamente musicali, tecniche, utilizzate per uscire dalla crisi.
Una prima strategia consiste nel creare paesaggi sonori statici, confortevoli, rassicuranti e, su questo sfondo, distendere una melodia, che a quel punto può essere ricca, curiosa, imprevedibile, ma arriva alle orecchie con facilità proprio grazie alla base sulla quale è appoggiata. Ci si può fare un’idea del meccanismo con Tenebre dello statunitense Bryce Dessner (41 anni) o con Abstraction dell’inglese Anna Clyne (37).
Una seconda tecnica prevede invece di raccogliere la sfida del pop e del rock, costruendo partiture che sprizzano energia nei timbri, nella successione delle armonie e soprattutto nel ritmo. Talvolta amplificando gli strumenti, ma spesso senza la necessità di farlo, si ottengono esiti intensi, adrenalinici, come dimostrano l’americano Nico Muhly (36) con Motion, il francese Régis Campo (49) con Pop-Art, il portoghese Luís Tinoco (48) con Short Cuts. Ci sono poi compositori che lavorano regolarmente con atmosfere sospese, sognanti, di grandissimo fascino armonico. Lo fanno ibridando accordi della tradizione classica con soluzioni tipiche delle colonne sonore, oppure con andamenti folk: due esempi paradigmatici sono le Moorland Elegies dell’estone Tõnu Kõrvits (48) oppure Aeriality dell’islandese Anna S. Þorvaldsdóttir (40).
Un quarto atteggiamento è quello degli autori che si ricollegano in modo fecondo con la musica del primo Novecento, saltando a piè pari le esperienze di rottura del secondo dopoguerra per recuperare un’espressività immediata, diretta, come dimostrano bene il finlandese Olli Mustonen (50) con la Sonata per violoncello e orchestra o la russa Lera Auerbach (44) con i Ventiquattro preludi per pianoforte. Oppure quello di autori che sfruttano in modo creativo i topoi delle colonne sonore dei film di fantascienza, come il francese Guillaume Connesson (47) con la sua Trilogie cosmique. E infine ci sono compositori post-minimalisti, che hanno superato le acquisizioni di Steve Reich o di Philip Glass e usano il meccanismo della ripetizione ossessiva come ingrediente costruttivo e non come esperienza estatica. Se ne può avere un’idea ascoltando Bulb dell’irlandese Donnacha Dennehy (47) o la Sonata per violino e pianoforte dell’americano Christopher Cerrone (33).
Come si intuisce, si tratta di atteggiamenti estetici molto lontani gli uni dagli altri. E — contrariamente a quanto avveniva con le avanguardie del passato — non vanno intesi come dogmi: talvolta uno stesso compositore passa da uno all’altro, in brani diversi, o addirittura fa convivere più soluzioni nella stessa partitura. Il risultato è che il panorama sonoro di una sala da concerto è oggi molto affascinante e si può tornare a esplorare il nuovo con la stessa voglia di bellezza, di piacere e di emozione che da sempre ha riunito i compositori, gli interpreti e il loro pubblico.