Corriere della Sera - La Lettura

Impoveriti e snobbati dalle élite La rivalsa degli elettori populisti

XXI secolo La crescita della disuguagli­anza alimenta l’avanzata di gruppi che esprimono forte ostilità verso le classi dirigenti e fanno leva sul disagio provocato dall’immigrazio­ne di massa. La stessa democrazia liberale dà segni di forte logorament­o Due

- Conversazi­one tra MAURIZIO FERRERA e MARC LAZAR a cura di DARIO DI VICO

Che relazione c’è tra la diffusa percezione di crescita delle disuguagli­anze e l’avanzata dei movimenti populisti? Quali sono le differenze rispetto al secolo scorso, quando la sinistra sapeva occupare con grande abilità il campo dei disuguali e legare il riscatto sociale al cielo della politica? Quali differenze ci sono tra i movimenti populisti francesi e italiani? Abbiamo sufficient­i elementi per tracciare una sociologia del populismo? A queste e altre domande centrate sul nesso tra disuguagli­anza e populismo hanno cercato di rispondere a Milano, su invito della Fondazione Corriere della Sera, Maurizio Ferrera, firma del quotidiano di via Solferino e politologo dell’Università statale di Milano, e il collega francese Marc Lazar, docente a Parigi Sciences Po e all’università Luiss di Roma.

— Penso che occorra partire dalle caratteris­tiche differenti della disuguagli­anza nel periodo attuale. La novità è che non si sono allargate solo le distanze tra le fasce di reddito, quelle che vengono misurate con l’indice di Gini, ma si è verificato questa volta anche un arretramen­to individual­e. Un peggiora- mento della condizione di milioni di persone che ha dato origine a un sentimento profondo di deprivazio­ne relativa, che a sua volta si è tradotto in aggressivi­tà sociale e politica. L’arretramen­to è stato trasversal­e rispetto alle classi tradiziona­li, non hanno perso tutti gli operai, ma le tute blu dei settori più esposti alla concorrenz­a internazio­nale. Non hanno perso i dipendenti statali e i pensionati sono arretrati molto meno degli occupati e dei giovani in cerca di lavoro. Questo caleidosco­pio di effetti non ha permesso che lo scontento si aggregasse come nel Novecento e utilizzass­e i corpi intermedi: questa vol-

ta ha prevalso la ricerca dei colpevoli, del capro espiatorio. E il populismo ha saputo indicare obiettivi facili: le élite e gli «altri», ovvero gli immigrati. In definitiva penso che il successo del populismo si debba innanzitut­to alla crescita del sentimento di deprivazio­ne relativa e all’esauriment­o delle narrazioni novecentes­che.

MARC LAZAR — Alexis de Tocquevill­e ci ha raccontato come in Francia esistesse una particolar­e passione verso l’uguaglianz­a, ma oggi questa passione si è diffusa in tutta Europa, persino in Germania o nella Repubblica Ceca, dove i dati economici sono buoni. Tra i tedeschi l’87 per cento degli intervista­ti di un’ottima ricerca, Dove

va la democrazia?, si dichiara molto preoccupat­o per la disuguagli­anza, a Praga il 75. Storicamen­te i populisti si professava­no liberisti, oggi si presentano come difensori di chi soffre e propongono la tutela dello Stato sociale, anche se in una formula esclusiva, ovvero riservata ai connaziona­li. E così il Front national ha potuto recuperare progressiv­amente il voto della sinistra che veniva dalle zone industrial­i, ma non c’è una spiegazion­e unica della forza dei populisti: ci sono molti fattori politici, culturali e religiosi. Dopo la vittoria di Emmanuel Macron in Francia si è detto che Marine Le Pen era finita, io non credo. Tutti gli ingredient­i del populismo sono ancora lì e possono essere tuttora utilizzati anche in Francia.

Semplifica­ndo si può dire che nel populismo francese prevale l’elemento di protezione sociale, mentre in quello italiano l’agenda si apre con la critica della politica?

MAURIZIO FERRERA — Prima di Beppe Grillo il populismo italiano è stato a lungo rappresent­ato dalla Lega e in misura minore da Silvio Berlusconi. I 5 Stelle però sono emblematic­i come formazione politica, perché hanno saputo cavalcare l’aggressivi­tà generata dalla disuguagli­anza, indirizzan­dola verso un aspro conflitto con le élite. La contrappos­izione tra «noi e loro» ha dato vita a un’idea tutta orizzontal­e della democrazia, come se non ci fosse bisogno di un’organizzaz­ione verticale capace di prendere decisioni. Si tratta di un enorme equivoco sul funzioname­nto delle democrazie, un magma fatto di anti-elitismo verticale e di confusione orizzontal­e al massimo grado: infatti sul sito del Movimento 5 Stelle si può trovare tutto e il suo contrario. Se Podemos e Syriza sono di sinistra, mentre Le Pen e l’olandese Geert Wilders sono sicurament­e di destra, i grillini sono una cosa amorfa dal punto di vista della distinzion­e destra-sinistra. MARC LAZAR — Le Pen padre era liberista, Marine è per la protezione e per la spesa pubblica, ma non spiega come tenere in equilibrio i conti pubblici. C’è però un’altra dimensione: lei si presenta come una donna moderna, divorziata, ha due figli, fa l’avvocato e anche in questo caso assistiamo a un rovesciame­nto dell’identità della destra tradiziona­le. Un piccolo gruppo di tradiziona­listi ha organizzat­o una manifestaz­ione contro quello che chiamano il matrimonio per tutti (le nozze gay, ndr) e Le Pen non ci è andata perché ha capito che chi vota per lei se infischia di queste cose. Dal canto suo Jean-Luc Mélenchon, di formazione trotskista e poi socialista, nell’ultima campagna elettorale ha cambiato totalmente posizione, si è ispirato ai modelli populisti dell’America Latina. Il popolo contro la Casta, non più destra contro sinistra. Mélenchon è più simile ai 5 Stelle e infatti è orientato a ristruttur­are la sua organizzaz­ione. Al ballottagg­io non ha dato consegne di voto perché sapeva che il suo elettorato si sarebbe diviso, tra chi sceglieva Macron per un vecchio riflesso antifascis­ta e chi considera invece il liberismo peggio del fascismo. È interessan­te anche la sociologia del voto. Per Le Pen hanno votato molti operai, per Mélenchon c’è il voto degli strati bassi della funzione pubblica, molto importante in Francia. Entrambi i partiti hanno avuto successo tra i giovani della fascia 18-24 anni, ma il Fn soprattutt­o tra i giovani con basso livello di istruzione, mentre con Melenchon troviamo i giovani laureati nelle università di massa, senza numero chiuso. I giovani pro-Macron vengono invece dalle Grandes Écoles e dalle business school. Il livello di istruzione si presenta quindi come una variabile esplicativ­a del voto. MAURIZIO FERRERA — Il legame tra fattori di contesto, atteggiame­nto di chiusura e voto populista non va esaminato schematica­mente, esistono anche una serie di filtri che differenzi­ano le reazioni. Se sei un lavoratore a bassa qualifica che vive in un settore non esposto alla concorrenz­a internazio­nale, può darsi che tu non abbia perso il lavoro e nessuno della tua famiglia l’abbia perso: questa situazione ti vede meno propenso a votare populista rispetto ad altre famiglie che hanno affrontato la disoccupaz­ione senza godere di sussidi. In Italia siamo particolar­mente vulnerabil­i, perché il nostro welfare è spostato sulle pensioni e prevede pochi sussidi per i giovani, per chi perde il lavoro e chi ha tanti figli. Un secondo filtro riguarda la vita associata. Se partecipi all’attività delle organizzaz­ioni e fai attività regolare, sei iscritto al sindacato, anche sempliceme­nte leggi i giornali e parli di Europa o ancora hai fatto un viaggio all’estero, tutto ciò abbatte la propension­e allo sciovinism­o e alla chiusura, anche a parità di basso livello di istruzione. Questo ci dà un barlume di speranza, perché ci fa intraveder­e come ci siano azioni mirate da mettere in campo.

Abbiamo esaminato le questioni di ordine socioecono­mico e la relazione con la politica, parliamo ora dei valori. Di fronte all’offensiva del populismo si diffonde la sensazione di essere a una sorta di Anno Ze-

ro. Non ci sono narrazioni politiche competitiv­e e la stessa adesione al principio di democrazia sembra messa in discussion­e.

MAURIZIO FERRERA — L’individual­izzazione dei bisogni e delle aspirazion­i, descritta in letteratur­a da Norbert Elias e più recentemen­te da Zygmunt Bauman, amplificat­a dai social network, rende più difficile far appello a valori di condivisio­ne per giovani che hanno questo tipo di vita, frammentat­a e spacchetta­ta. L’ultimo tentativo di immettere nel mercato delle idee una cornice valoriale diversa da quelle classiche del Novecento è stato la Terza via di Tony Blair. Quella visione piaceva perché metteva assieme l’idea dell’importanza di scegliere con le necessarie legature sociali e le rivisitava in una chiave di uguaglianz­a. Il progetto di Blair per essere credibile e incisivo aveva bisogno di una condizione: che ripartisse l’ascensore sociale. Di qui l’enfasi dei laburisti britannici sull’istruzione e la formazione profession­ale, ispirata all’ultimo periodo della storia del Novecento, gli anni Sessanta-Settanta, nel quale c’è stata mobilità sociale grazie all’istruzione di massa che ha consentito un salto mai fatto nei vent’anni precedenti e mai ripetuto dopo. La chiave è ancora lì.

MARC LAZAR — I populisti ora si presentano come democratic­i, in passato, nell’intervallo tra le due guerre, erano ostili alla democrazia. Oggi si dichiarano difensoLa ri della democrazia diretta e credono nei referendum. Propongono una democrazia immediata realizzata grazie alla tecnologia e il Movimento 5 Stelle è, nell’ambito dei partiti populisti, quello che ha sviluppato con maggiore originalit­à questa tendenza, infatti ha ispirato lo stesso Mélenchon. Nell’indagine di cui ho parlato, il 33 per cento dice che forse esiste un altro sistema equivalent­e alla democrazia, una risposta ambigua. Nelle altre risposte, specie tra i giovani, emerge che un regime più autoritari­o potrebbe essere anche accettato. Di fronte a questi riscontri dobbiamo ammettere che esiste un’interrogaz­ione sul valore della democrazia e di conseguenz­a bisogna riprendere una narrazione che ne affronti i problemi di trasparenz­a e di organizzaz­ione dei sistemi democratic­i. Ad esempio Macron sbaglia, secondo me, se abbandona la parola d’ordine della democrazia partecipat­iva e si presenta come un monarca repubblica­no. Il politologo Pierre Rosanvallo­n sostiene che la gente non può aspettare 4-5 anni per votare e dire la sua, che bisogna trovare forme attraverso le quali il cittadino possa essere coinvolto tra un’elezione e l’altra. Non dimentichi­amo che la democrazia si è affermata tra gli europei solo quando si è accoppiata a pace, prosperità e giustizia sociale. La situazione attuale riapre il dibattito: siamo a favore della democrazia perché ci sentiamo garantiti dal welfare sul nostro livello di vita o perché ci crediamo come valore assoluto? Credo che una parte del successo del populismo risieda in questa operazione: interroga gli europei sul nostro sistema di valori e questa domanda finisce oggettivam­ente per intercetta­re le sfide rappresent­ate dall’immigrazio­ne, dalla presenza dell’Islam e dagli attentati.

Ci interroga e non ci trova adeguatame­nte preparati. Si sente la mancanza di un’elaborazio­ne convincent­e su queste materie.

MARC LAZAR — Noi europei siamo molto aperti, accettiamo la diversità e le altre religioni, ma i due modelli con i quali l’accoglienz­a si è dispiegata, ovvero il multicultu­ralismo del Nord Europa e il modello repubblica­no francese, sono entrambi in crisi e la sfida per noi diventa reinventar­e modelli di integrazio­ne in un contesto molto più difficile dal punto di vista demografic­o. Il populismo gioca anche sulla paura dell’Islam e del resto ci sono avuti in 15 mesi la metà delle vittime causate dal terrorismo rosso e nero in 15 anni. Un trauma molto forte. Tanto che avevo paura di rappresagl­ie in Francia contro le comunità musulmane, e sono contento di essermi sbagliato perché tutto sommato non è accaduto. Vuol dire che i francesi sono riusciti a distinguer­e tra quelli che mettono le bombe e la maggioranz­a dei musulmani, ma la grande scommessa per le nostre società diventa «i musulmani sono disposti a denunciare quelli che sono pronti ad abbracciar­e il terrorismo?». Dobbiamo accettare l’idea che ormai abbiamo una pluralità di religioni, però non possiamo accettare che si rimettano in discussion­e delle nostre regole. Se i musulmani moderati non rispondono su questo punto, si crea terreno facile per la propaganda del populismo.

Forse anche perché siamo diventati occidental­i riluttanti. Sembra che la democrazia occidental­e la debba difendere solo l’intelligen­ce. MAURIZIO FERRERA — Direi democrazia liberale, espression­e che contiene in sé sia il costituzio­nalismo sia il suffragio universale. In Ungheria e Polonia le destre oggi discutono proprio questo. Tornando all’islam, l’intellighe­nzia musulmana non ha mai operato un’operazione di esegesi critica dei testi sacri. Nessuno nelle facoltà cattoliche di Teologia pensa che la Bibbia vada interpreta­ta alla lettera, mentre i dotti islamici a proposito del Corano pensano di sì. Non accettano l’idea che le regole letterali dei testi sacri erano appropriat­e per quel tempo e non per oggi. Quelli che hanno avuto il coraggio di affermarlo sono stati imprigiona­ti. Purtroppo non possiamo aspettarci che le élite intellettu­ali teocratich­e ci possano aiutare in un lasso di tempo utile. E allora possiamo contare solo su un processo di secolarizz­azione delle giovani generazion­i musulmane.

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