Corriere della Sera - La Lettura

Gelo tra Heidegger e Löwith Il legame spezzato da Hitler

- Di DONATELLA DI CESARE

Esce in Italia il carteggio tra i due filosofi. L’amarezza dell’esule espatriato per sfuggire al nazismo, un silenzio abissale durato vent’anni

Quando ha inizio il carteggio Martin Heidegger era appena trentenne mentre il suo brillante allievo Karl Löwith aveva solo ventiquatt­ro anni. Anzitutto poche righe, datate 22 agosto 1919, con cui Heidegger ringrazia per un paio di cartoline.

Uscito in Germania nel 2017, all’interno di un monumental­e progetto che prevede la pubblicazi­one dell’intera corrispond­enza di Heidegger (trenta epistolari di carattere privato e cinque di stampo istituzion­ale), il carteggio con Löwith, tradotto ora in italiano per le edizioni Ets di Pisa, si estende per un lungo arco di tempo, fino al 1973. E comprende 124 lettere o cartoline, di cui 76 scritte da Heidegger e 48 da Löwith. La corrispond­enza, come avverte Alfred Denker che ha curato l’edizione critica, non è completa: mancano qui e là alcuni tasselli andati perduti.

È bene avvertire il lettore: comunque lo si voglia interpreta­re, il carteggio si interrompe bruscament­e il 29 luglio 1933. Con poche e imbarazzat­e parole Heidegger si congeda dal suo allievo rallegrand­osi con lui, che ha ottenuto una borsa di studio. Löwith, che ha un cognome scomodo e un padre ebreo, è costretto dall’ascesa di Hitler a lasciare la Germania. Ma tutto appare come se si trattasse quasi di una vacanza. Il maestro neppure lo saluta: «Per via del mio breve soggiorno a Marburgo, non mi è stato possibile passare da lei». Con amarezza Löwith lo ricorderà nelle sue memorie: La mia vita in Germania prima e dopo il 1933 (Il Saggiatore, 1988).

Su 261 pagine dell’edizione italiana solo le ultime dieci sono successive al 1936, l’anno del fortuito incontro a Roma, dove Heidegger si reca per tenere la sua conferenza sulla poesia di Friedrich Hölderlin. Il silenzio abissale dal 1937 al 1958 è interrotto solo da un biglietto di auguri che Löwith invia da New York il 20 settembre 1949. In seguito i toni restano freddi; l’epilogo non è una riconcilia­zione. Mai Heidegger avverte il bisogno di condannare la Germania del Terzo Reich che ave- va inflitto al suo allievo un esilio penoso tra Italia, Giappone, America, rovinandog­li la vita. Solo a pochi giorni dalla morte di Löwith, il 5 maggio 1973, gli manda una lettera a tratti commossa: «Gadamer mi ha scritto della sua malattia (…). Alla nostra età pensiamo all’addio e insieme all’inizio dei nostri cammini». Conclude con un verso di Rainer Maria Rilke: «Sii oltre ogni addio…».

Il carteggio non è solo uno spaccato storico. Mette in luce la personalit­à dei due filosofi, fa emergere un sodalizio mancato. Protagonis­ta è Löwith, che scrive molto di più: pagine lunghe e impegnativ­e. Sicuro di sé, convinto della sua vocazione filosofica, legge gli esponenti dell’idealismo tedesco, Hegel e Schelling, studia Nietzsche, di cui sarebbe divenuto grande interprete. Impossibil­e non ricordare il suo splendido libro del 1941 Da Hegel a Nie t z s c he ( Ei naudi, 2000). Non stupisce che si senta così attratto da Heidegger, quel genio rivoluzion­a r i o c he va mette ndo a s o q q ua dro l’esangue filosofia accademica del tempo. Quale fortuna avere un maestro così! Si percepisce la soddisfazi­one di Löwith, si indovina la sua speranza. Si sente privilegia­to anche perché sa di essere l’allievo preferito. La stima di Heidegger, quella certa complicità che si va instaurand­o tra loro, lo rafforza nella sua scelta. Le lettere sono perciò anche un encomio della filosofia. «Un mondo intero separa il filosofo dai piccoli profeti letterari», commenta Löwith, un abisso lo divide dagli scienziati. La filosofia è inscindibi­le dalla vita. Ma p r o p r i o p e r c i ò i l p r e z zo è a l to . Löwith parla di «malessere». Quando le cose non vanno, a fine giornata si rifugia allora nell’amicizia. E lo rivendica. Tutto quel che di grande ha vissuto, dalle gioie ai tormenti, ha a che fare con la filosofia e con l’amicizia. Questo è il tema del carteggio. Ma Heidegger, no, non sa di amicizia, o non vuole saperne. Già presto L öwit h g l i r i mprovera « un’a s pre z z a scomposta», un’indefinibi­le capacità di oltrepassa­rsi che finisce per isolarlo. Il maestro ribatte: «Conduco una vita da eremita, ritirato nel lavoro». Aggiunge: «La filosofia non è un passatempo; si può andare in rovina». Chi non la assume con questo rischio non sa neppure cosa sia. Come si sottrae ai suoi allievi, così evita Löwith il quale, dopo averne invano cercato l’amicizia, critica Essere e tempo, dove mancano l’altro e quell’esser con l’altro che diventerà il tema della sua tesi di libera docenza L’individuo nel ruolo del couomo (Guida, 2007).

C’è chi a sproposito parla di «risentimen­to» di Löwith nel dopoguerra, magari prescinden­do da tutto ciò di cui era stato vittima. Certo è che, quando nel 1952, grazie a Gadamer, che era il suo miglior amico, riesce a rientrare in Germania, a Heidelberg, Löwith comprensib­ilmente non solo non dimentica, ma punta l’indice contro il vecchio maestro pubblicand­o, l’anno successivo, la prima pubblica denuncia: Heidegger, Denker in durftiger Zeit, «Heidegger pensatore nel tempo di povertà» (in italiano nel volume Saggi su Heidegger, Einaudi, 1966).

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