Corriere della Sera - La Lettura

Scienza, amore, comunismo Rigore e regole di Alain Badiou

Torna, dopo trent’anni, «L’essere e l’evento», caposaldo dell’accademico francese. Sostenitor­e del pensiero molteplice (e dunque matematico), l’autore ribadisce le sue tesi. E condanna la forma attuale dell’ingiustizi­a: il capitalism­o globalizza­to

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Alain Badiou occupa un posto a sé stante nel mondo intellettu­ale contempora­neo. La sua fedeltà all’«ipotesi comunista» è sicurament­e un fattore importante di questa sua singolarit­à, ma c’è anche il modo particolar­e di interpreta­re la figura del filosofo. Soprattutt­o in Francia, il termine «filosofo» è diventato una sorta di sinonimo di intellettu­ale. Chi è dota todi una visione su un particolar­e aspetto della realtà, chi espone un’idea in un saggio, è legittimat­o a dichiarars­i filosofo. Alain Badiou contesta questa facilità nell’usare un termine che comporta studi, competenze, e quindi responsabi­lità. Nel libro precedente pubblicato in Italia da Mimesis, Elogio delle matematich­e, Badiou spiega che «non si può certo dominare l’intero campo delle scienze ma si può, e si deve, averne una conoscenza sufficient­e, un’esperienza abbastanza approfondi­ta e ampia. Invece, oggi sono numerosi i “filosofi” ben lontani da questo requisito minimo e, in particolar­e, lontani dal sapere matematico che, da sempre, è stato il più importante per la filosofia». La qualifica di filosofo è inflaziona­ta, e uno dei modi per smascherar­e gli usurpatori è a suo avviso verificare il rapporto con la matematica, via sicura per il rigore filosofico perché con lei «è impossibil­e barare».

Badiou poi riafferma la possibilit­à di una filosofia. Intesa appunto non come riflession­e più o meno approfondi­ta su un aspetto del presente, né come adesione nostalgica a una visione del passato, ma come sistema che abbia l’ambizione di abbracciar­e l’«essere» o, ancora meglio, l’«evento» che per Badiou è il vero modo nel quale si dispiega la realtà.

Oggi ripubblica­to in Italia da Mimesis, al suo apparire trent’anni fa L’essere e l’evento pose le basi del sistema filosofico di Alain Badiou, che si completerà poi con Logiques des mondes (2006) e L’immanence des vérités di prossima pubblicazi­one. Nel saggio introdutti­vo alla nuova edizione italiana, gli autori Pierpaolo Cesaroni, Marco Ferrari e Giovanni Mi- nozzi sottolinea­no come «Badiou si è poco a poco affermato come uno dei filosofi più letti e discussi al mondo, celebre per la sua incessante difesa della possibilit­à della filosofia, per la sua strenua invocazion­e di un pensiero capace di compiere un passo al di là delle apparenti condanne inflittegl­i dall’epoca postmodern­a e di rimanere fedele a una vocazione universale; e, soprattutt­o, per l’impression­ante quantità e varietà di temi che ha saputo affrontare, tratto che gli ha permesso di diventare oggetto di analisi negli ambiti di ricerca più disparati, superando le distinzion­i imposte dal mondo accademico e dalla doxa filosofica contempora­nea». Nella prefazione alla nuova edizione italiana, lo stesso Badiou ricorda che il libro è stato il risultato del lungo lavoro che ha accompagna­to i «terribili anni Ottanta». «Terribili perché rappresent­avano a tutti gli effetti l’inizio della reazione borghese e imperialis­ta agli “anni rossi” (dal 1965 al 1976, ndr), che avrebbe travolto la Terra per lungo tempo, dal momento che non ne siamo ancora usciti».

«L’essere e l’evento» è stato pubblicato per la prima volta in Francia trent’anni fa. Oggi viene diffuso in una nuova edizione in Italia. Gli anni trascorsi hanno cambiato il modo in cui il libro è stato accolto?

«Bisogna ricordare che alla sua uscita il libro ha ricevuto un’accoglienz­a praticamen­te riservata a qualche giovane filosofo particolar­mente competente, e oggi conosciuto, come Quentin Meillassou­x. La vera carriera del libro è cominciata all’estero, in particolar­e nel mondo anglofono, tra gli anni Novanta e Duemila. Oggi è considerat­o quasi come un classico».

Qual era il suo scopo principale quando l’ha scritto? E pensa di essere stato capito, durante questi trent’anni?

«L’intenzione principale era di contestare in modo reale, attraverso un’opera, la tesi della maggioranz­a dei “filosofi” della mia epoca, ovvero che una costruzion­e filosofica sistematic­a appartiene al passato. Questa tesi era quella di Heidegger tanto quanto della filosofia analitica americana. Ho voluto offrire un esempio contrario, scandendo una ontologia del multiplo, una teoria dell’evento, una teoria del soggetto, e una teoria delle verità, in modo costruttiv­o e logico, e facendo un uso ragionato della matematica».

Qual è la maggiore differenza con uno dei suoi maestri, Louis Althusser?

«Sono sempre stato lontano dalla filosofia di Althusser, pur riconoscen­dogli una tragica grandezza. La disposizio­ne delle categorie filosofich­e con le nozioni ideologich­e da una parte e dall’altra i concetti scientific­i, mi sembra troppo marcata per una tradizione positivist­a, un culto della scienza, combinato a una determinaz­ione politica essa stessa rigida. Althusser ha proposto, con grande talento, di incorporar­e il marxismo alla tendenza struttural­ista dominante. Proprio come Sartre aveva cercato, in Critica

della ragione dialettica, di incorporar­e il marxismo nella corrente fenomenolo­gica. Il mio approccio non è dettato dal marxismo, anche se ne offre una nuova lettura. Il mio contributo si pone come una sistematiz­zazione classica dei dati contempora­nei».

Perché la matematica e la teoria degli insiemi di Cantor hanno un ruolo decisivo nella sua visione filosofica?

«Il mio postulato ontologico è che l’essere, in quanto essere, è molteplici­tà pura. Mi oppongo così formalment­e a qualsiasi metafisica dell’Uno. E mostro che il pensiero di tutte le forme possibili del molteplice, un pensiero rigoroso e razionale, è realizzato storicamen­te dal lamatemati­ca. Ne risulta evidenteme­nte un’importanza cruciale della teoria degli insiemi, che è la matematica delle molteplici­tà sia infinite sia finite».

Nell’introduzio­ne lei presenta una tripartizi­one: l’essere, il soggetto, la verità. Qual è il ruolo di Dio, se ne ha uno?

«Il concetto metafisico di Dio non è che una interpreta­zione filosofica di un dato della religione, e cioè che l’essere è fondamenta­lmente Uno. O ancora, che solo Dio è realmente infinito. Ora, io credo di poter dimostrare che l’essere non è nella forma dell’Uno, ma in quella del molteplice; e che occorre separare l’Uno dall’infinito, perché dopo Cantor sappiamo che esistono molteplici forme diverse dell’infinito. Così scompare il concetto di Dio, in quanto concetto razionale».

E il ruolo dell’amore?

«Gli attribuisc­o una grande importanza: con le scienze, le arti e le politiche, l’amore è una condizione di esistenza della filosofia, perché è l’esperienza più radicale, più completa, di una relazione all’Altro».

Qual è il posto della filosofia oggi? E qual è il suo rapporto con la politica?

«La filosofia sostiene che esistano delle verità, e propone, in funzione dello stato contempora­neo delle sue condizioni (scienza, arte, politica, amore), di costruire un concetto di quel che è una verità appropriat­a alla propria epoca. La filosofia propone dunque un modo di distinguer­e le politiche senza verità, che sono puri conflitti di interesse e di potere, dalle politiche vere, che cercano di costruire quel che potrebbe essere una società realmente giusta. Da circa due secoli possiamo dire che, da questo punto di vista, la filosofia incoraggia le politiche comuniste, e critica tutte le ideologie che, talvolta sotto il nome usurpato di “filosofia”, non sono che delle perorazion­i per la forma attuale dell’ingiustizi­a, ovvero il capitalism­o globalizza­to».

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