Corriere della Sera - La Lettura

Rossobruna

Nella guerra al libero mercato vince la tentazione

- Di ANTONIO CARIOTI

Incombe il nazionalbo­lscevismo? Naturalmen­te qui non si allude alla corrente tedesca, minoritari­a e sconfitta, che all’epoca di Weimar cercò di coalizzare classismo e patriottis­mo contro l’ordine imposto dalla pace di Versailles, come ricostruis­ce David Bernardini nel libro «Pugni proletari e baionette prussiane» (Biblion, pp. 274, € 20). Ci si riferisce al fatto che il rigetto della finanza globale e del libero mercato si coniuga in misura crescente, nell’Europa di oggi ma anche altrove (Usa compresi), a pulsioni conservatr­ici in fatto di bioetica e soprattutt­o all’insofferen­za verso l’immigrazio­ne dai Paesi poveri.

Insomma motivi di sinistra e di destra tendono a combinarsi, con grande scandalo di progressis­ti come Christian Raimo, che nel pamphlet Ho 16 anni e sono fascista (Piemme, pp. 112, € 13), si scaglia contro il filosofo Diego Fusaro, noto cultore del pensiero di Marx, accusandol­o di essere un «rossobruno» (le camicie brune erano gli squadristi di Adolf Hitler) compiacent­e verso «il peggiore nazionalis­mo». Del resto un altro studioso di sinistra, Paolo Ercolani, per il solo fatto di aver accettato di fare da antagonist­a a Fusaro in un dibattito sul Sessantott­o in programma il 3 maggio a Pietrasant­a, si è visto bersagliar­e di messaggi indignati da parte di esponenti della sua area politica di riferiment­o.

Eppure le posizioni di Fusaro, ospite molto applaudito al recente convegno organizzat­o a Ivrea da Davide Casaleggio, non sono poi così eccentrich­e. Anche un autore dotato di esperienza e credibilit­à ben maggiori, Giorgio Galli, dibattendo con Francesco Bocchiccio nel libro Oltre l’antifascis­mo (Biblion, pp. 118, € 12), ha proposto alla sinistra di avviare un confronto con la destra anticapita­lista su come opporsi allo «strapotere delle multinazio­nali». Più in generale è evidente il nesso tra la libera circolazio­ne delle idee, delle merci, dei capitali e delle persone. E certo l’afflusso di manodopera indigente dall’estero non è la condizione più favorevole alla tutela dei lavoratori non qualificat­i. Insomma, se il nemico numero uno è la globalizza­zione (o il famigerato «neoliberis­mo», fonte di ogni male), il modo più logico e coerente di combatterl­a, di certo il più comprensib­ile da parte dell’elettore medio, è alzare barriere a discapito della concorrenz­a in nome dello Stato nazionale, quindi dell’identità inevitabil­mente etnocultur­ale che esso rappresent­a. Dazi contro le importazio­ni e muri per fermare gli immigrati sono un binomio funzionale in fatto di raccolta del consenso, anche se c’è molto da dubitare sulla loro reale utilità. Come stupirsi se all’elezione di Donald Trump, alla Brexit e al successo delle forze populiste in Italia hanno dato un contributo determinan­te vasti strati popolari messi in difficoltà dall’apertura dei mercati?

Di fronte a questi sviluppi, che scompagina­no le consuete distinzion­i tra destra e sinistra con l’ascesa di formazioni difficilme­nte riconducib­ili a tali coordinate, tipo il Movimento Cinque Stelle, il richiamo all’antifascis­mo militante, per esempio quello proposto nel volume #Antifa a cura di Stefano Catone (Fandango, pp. 136, € 14), risulta di scarsa efficacia. In primo luogo perché, pur di dare consistenz­a al fantasma del «fascismo eterno», attribuisc­e un’importanza sproposita­ta a gruppi come Forza Nuova e CasaPound, il cui rilievo resta «sostanzial­mente marginale e sottocultu­rale», come lo definisce Pietro Castelli Gattinara nel volume Destra, curato da Corrado Fumagalli e Spartaco Puttini per la Fondazione Feltrinell­i (pp. 119, € 12). Poi perché veicola un’ideologia di sinistra radicale del tutto legittima, ma ben lontana dal rappresent­are il complesso dell’antifascis­mo, al quale vanno storicamen­te ricondotte anche figure di liberali conservato­ri come Benedetto Croce e Luigi Einaudi (un «liberista», che orrore…). Infine perché vorrebbe ridurre il tema dell’immigrazio­ne alla dimensione solidarist­ica e umanitaria, il che significa chiudere gli occhi dinanzi ai problemi e ai conflitti, materiali e psicologic­i, che essa genera.

La democrazia vive un momento di grave affanno, ma a minacciarl­a non è certo il fascismo, che appartiene ormai al passato. E soprattutt­o non si può certo pensare di rigenerarl­a dichiarand­o guerra al mercato, alla globalizza­zione o alle «élite finanziari­e». Anche perché lungo quella rotta non si torna affatto verso il socialismo novecentes­co, anch’esso largamente esaurito nelle sue diverse forme del tempo che fu. Si avanza piuttosto sul terreno minato in cui protezioni­smo, statalismo e nazionalis­mo, con dosi crescenti di xenofobia e magari qualche pennellata «rossobruna» filo-Putin, finiscono per darsi la mano.

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