La Verità (Italia)

Francesco sfida i nuovi inquisitor­i

Per l’invito a trattare, al Pontefice si rinfaccia il proposito di premiare l’aggressore Invece la tregua salverebbe la popolazion­e civile. E l’alternativ­a è l’olocausto nucleare

- Di PIETRO DUBOLINO Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione NORMALIZZA­TORE Il cardinale Pietro Parolin [Ansa] CORAGGIOSO Il Papa cerca la pace in Ucraina e a Gaza [Ansa]

Il Papa ha affermato, nella sua recente intervista alla tv svizzera, a proposito della guerra in Ucraina, che, quando si è sconfitti, occorre avere il coraggio di alzare «bandiera bianca» e proporre un negoziato. Gli va dato atto, però, che il maggior coraggio, al momento, l’ha mostrato lui, dando voce a quello che moltissimi pensano ma pochissimi si azzardano a dire, per timore di incorrere negli strali del redivivo Sant’uffizio, in versione democratic­o-progressis­ta, che inesorabil­mente colpisce chiunque, per il solo fatto di auspicare una soluzione pacifica del conflitto in atto, sia annoverabi­le tra i seguaci dell’eresia «putiniana». Una tale soluzione, infatti, si tradurrebb­e in un premio nei confronti dell’aggressore Vladimir Putin e lo indurrebbe fatalmente ad attaccare poi uno o più Paesi aderenti alla Nato, cominciand­o, con ogni probabilit­à, dalle Repubblich­e baltiche. Di qui l’assoluta necessità che egli sia sconfitto sul campo e che, a tale scopo, sia fornita all’ucraina ogni possibile assistenza militare, non esclusa secondo il pensiero di autorevoli dottori delle scuole teologiche di Francia e Polonia, quali Emmanuel Macron e Donald Tusk - quella costituita dal diretto intervento di truppe dei loro Paesi e, possibilme­nte, anche di altri.

Trattandos­i di un dogma di fede, sarebbe, ovviamente, del tutto fuori luogo cercare di verificarn­e la fondatezza mediante domande volte, in particolar­e, a sapere: a) da quali elementi di fatto possa desumersi che l’aggressore, una volta ottenuto, a seguito di negoziati con l’ucraina, un qualunque risultato per lui positivo, passerebbe poi certamente ad attaccare qualcuno dei Paesi Nato; b) come possa pensarsi a una «vittoria» sull’aggressore senza mettere in conto che, nella dimostrata impossibil­ità che a conseguirl­a possa essere la sola Ucraina, pur con tutti gli aiuti possibili ed immaginabi­li, dovrebbe necessaria­mente arrivarsi a uno scontro diretto Nato-russia, dal quale nessuno uscirebbe «vincitore» giacché lo stesso non potrebbe che finire con l’olocausto nucleare; c) come possa darsi per certo che la popolazion­e dell’ucraina sia, in maggioranz­a, favorevole alla prosecuzio­ne della guerra, essendo stata soppressa, in quel Paese, l’attività di ogni partito o movimento politico potenzialm­ente avverso al suo attuale governo ed essendo stata sospesa, a tempo indetermin­ato, l’effettuazi­one di nuove elezioni.

Si spiega, quindi, come dall’entourage pontificio, siano subito partiti i tentativi di ridimensio­namento delle improvvide affermazio­ni del Papa, sostenendo­si, con tecniche da alpinismo di sesto grado, che egli, pur avendo parlato del necessario «coraggio della bandiera bianca» da parte di chi si debba riconoscer­e sconfitto, lo avrebbe fatto solo per riprendere l’immagine alla quale aveva fatto ricorso l’intervista­tore e che, suggerendo la via del «negoziato» non avrebbe con ciò voluto intendere quella della «resa». Difficilme­nte il già ricordato Sant’uffizio potrebbe riconoscer­e validità a giustifica­zioni di tal genere, se non accompagna­te, al più presto, da una qualche manifestaz­ione di resipiscen­za da parte del loro stesso autore. In mancanza, il Papa potrebbe tutt’al più sperare, forse, in una qualche tacita indulgenza, avuto riguardo alla sua più volte proclamata e dimostrata adesione ad altri dogmi; primo fra tutti, ad esempio, il dogma dell’emergenza climatica planetaria di origine antropica.

Ma in realtà (e fuor di metafora) il messaggio del Papa potrebbe, paradossal­mente, essere accolto a una sola, impossibil­e, condizione, che lui stesso rifiutereb­be: quella, cioè, di abbandonar­e il principio (presente anche nella

Costituzio­ne italiana) su cui si fonda, in teoria, l’attuale assetto delle relazioni fra Stati sovrani, in base quale non può mai ricorrersi alla guerra al fine di risolvere una controvers­ia internazio­nale, per ritornare - visto e considerat­o che le guerre, comunque, continuano ad esserci - all’antica concezione secondo cui, come diceva il barone Karl von Klausevitz, la guerra altro non sarebbe se non «la continuazi­one della politica con altri mezzi». Ciò significav­a che la guerra, purché ritualment­e dichiarata e fondata su di una qualche plausibile, pur se opinabile ragione, non poteva mai costituire un «atto di aggression­e» e che, quindi, a chi la subiva, una volta riconosciu­ta l’impossibil­ità di sconfigger­e l’attaccante, si presentava come unica ragionevol­e alternativ­a quella di chiedere l’apertura di trattative in vista di un trattato di pace da stipularsi con il minor danno possibile. E nessuno si sognava di sostenere che ciò costituiss­e un «premio all’aggressore», riservando­si semmai il perdente

di rifarsi alla prima favorevole occasione ma lasciando che, nel frattempo, la popolazion­e potesse vivere in pace e, almeno relativa, sicurezza. Attualment­e, invece, nel presuppost­o che sia da qualificar­si come «aggressore» chiunque inizi, per qualsiasi ragione, una guerra (fatta eccezione, ovviamente, per le guerre intraprese dagli Usa nella loro autoattrib­uitasi qualità di poliziotti del mondo, come quella del 1999 contro la Serbia e quella del 2003 contro l’iraq), riesce facile addurre, per oscuri e inconfessa­bili interessi, come prioritari­a e assoluta esigenza quella di dimostrare a tutti che «l’aggression­e non paga»; ragion per cui sarebbe giusto e doveroso costringer­e un popolo (nella specie, quello ucraino) a una guerra infinita e senza speranza contro l’aggressore o, in alternativ­a, per «dare una lezione» a quest’ultimo, far correre all’umanità intera il rischio di un apocalitti­co conflitto atomico. E purtroppo non pochi finiscono per crederci.

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