La doppia faccia del QATAR
È il primo finanziatore di Hamas, eppure negozia con Israele e gli Stati Uniti lo considerano un alleato chiave: fino a quando?
■ Il Qatar da decenni sostiene politicamente e finanziariamente l’organizzazione terroristica Hamas, che è il braccio armato della Fratellanza musulmana. Nonostante questo, il piccolo emirato del gas nel Golfo Persico è riuscito a diventare il principale negoziatore tra Hamas e Israele, anche se è evidente che non si tratta certo di un attore neutrale, così come non è un segreto per nessuno che negli anni altre organizzazioni terroristiche hanno ricevuto denaro dagli emiri di Doha.
Il Qatar ha una lunga storia di sostegno alla Fratellanza musulmana e alle sue propaggini. Durante il periodo in cui la Fratellanza era al potere in Egitto, il Qatar fornì al governo dell’allora presidente Mohammed Morsi circa 7,5 miliardi di dollari. Secondo quanto riportato da Reuters, il Qatar avrebbe anche assistito il regime di Morsi con sovvenzioni e forniture energetiche. Durante la presidenza di Morsi fino a 850.000 dollari sarebbero stati segretamente trasferiti alla Fratellanza dall’ex primo ministro del Qatar, Sheikh Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani. Come scrive il Counter Extremism Project, un documento datato 28 marzo 2013 fornisce dettagli sull’assegnazione dei fondi da parte di Hamad bin Jassim a una lunga lista di leader egiziani dei Fratelli musulmani. I tribunali egiziani hanno anche accusato
Morsi e i suoi collaboratori di aver divulgato segreti di Stato al Qatar. Il Qatar ha fornito un sostegno totale alla Fratellanza musulmana che include anche il ruolo della rete satellitare di proprietà qatariota, al Jazeera. Quest’ultima è stata più volte accusata di essere vicina alla massima espressione dell’islam politico, tanto che per anni ha trasmesso tra il 1996 e il 2022 il programma televisivo del predicatore salafita estremista Yusuf al Qaradawi, deceduto a Doha nel 2022 a 96 anni, che veniva chiamato Sharia wa al-haya (Legge e Vita). Al Qaradawi rispondeva alle domande degli spettatori su una varietà di argomenti, tra cui la preghiera, il digiuno, il matrimonio, la famiglia e l’eredità. Offriva la sua opinione anche su eventi politici e sociali in corso nel mondo musulmano e altrove e forniva analisi e spiegazioni di versetti del Corano. All’inizio degli anni 2000 Hamas ha condotto un’incessante campagna di attentati suicidi contro Israele che ha goduto di un certo grado di legittimità religiosa proprio grazie a Yusuf al Qaradawi.
Al Jazeera, di proprietà del governo del Qatar, svolge effettivamente il ruolo di portavoce mediatico dello Stato e la rete ha spesso enfatizzato le azioni violente di Hamas, fornendo una copertura particolarmente accesa durante i conflitti contro Israele. Dopo l’attacco del 7 ottobre, al
Jazeera ha trasmesso la chiamata alle armi del capo militare di Hamas, Mohammad Deif (oggi nascosto nei tunhamas nel) e ha diffuso tutte le dichiarazioni incendiarie di Ismail Haniyeh («Invitiamo i figli di questa intera nazione, nelle loro varie località, a unirsi a questa battaglia in ogni modo possibile») e quelle del suo vice, Saleh al Arouri
che è stato incenerito da un drone israeliano lo scorso 2 gennaio mentre presiedeva una riunione nell’ufficio di a Beirut (Libano).
Il sostegno ad Hamas da parte del Qatar si è tradotto fino ad oggi in più di due miliardi di dollari, molti dei quali sono finiti nelle tasche dei capi dell’organizzazione terroristica che non a caso vivono nel lusso a Doha. Ad esempio, il leader attuale di Hamas, Ismail Haniyeh, 61 anni, che si è appena sposato per la settima volta con una ventottenne palestinese, ha da tempo lasciato la sua casa nel campo profughi di alshati a Gaza per vivere in Qatar, da dove gestisce il movimento e anche il suo patrimonio, stimato in circa quattro miliardi di dollari. Anche il suo predecessore Khaled Meshal (patrimonio stimato in 3,5 miliardi di dollari) si è trasferito in Qatar nel 2012, insieme all’ufficio politico di Hamas che precedentemente risiedeva in Siria. Altri alti
funzionari, come Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza, e Tahar al Nounou, consigliere politico di Haniyeh, hanno trovato rifugio in Qatar. I capi di Hamas non vogliono lasciare il Paese così come richiesto da Usa e Israele per andare in esilio in Algeria, Tunisia o Turchia, perché qui il Mossad avrebbe gioco facile per eliminarli.
Dato che il Qatar è un importante alleato designato dagli Stati Uniti, il suo costante sostegno a Hamas solleva un interrogativo che ora è urgente: non è giunta l’ora che Washington debba esercitare forti pressioni sul Paese del Golfo per chiudere gli uffici di Hamas, espellere i suoi funzionari e interrompere il flusso finanziario mensile? Il problema è che nonostante il suo sostegno a entità ritenute terroristiche, il Qatar è stato designato dagli Stati Uniti come uno dei principali alleati non Nato. Questo perché il Paese svolge un ruolo cruciale come hub strategico per le operazioni militari statunitensi nella regione del Golfo Persico. La base aeronautica di al Udeid, situata a 19 miglia a sud ovest di Doha, ospita circa 10.000 soldati statunitensi e il quartier generale avanzato del Centcom, da cui gli Stati Uniti conducono le operazioni aeree contro lo Stato islamico in Iraq e Siria. Inoltre, la base, costruita dal Qatar in seguito all’operazione Desert Storm del 1991, ospita anche la Royal Air Force del Regno Unito e altre forze straniere.
Secondo l’analista Giovanni Giacalone «gli Stati Uniti hanno un’importante base militare in Qatar, ma si può essere alleati di un Paese che sostiene il terrorismo di Hamas? L’eccidio del 7 ottobre ha mandato in corto circuito tutta una serie di equilibri e tra questi c’è proprio la posizione del Qatar che va assolutamente rivista. Il paradosso è che Washington continua a presentare Doha come “mediatore” interessato alla risoluzione del conflitto quando di fatto svolge il ruolo di motore diplomatico di Hamas che, lo ripeto ancora, è un’organizzazione terrorista. I leader di Hamas vivono da molti anni protetti a Doha. La pressione non va fatta su Israele, che sta rispondendo a un’aggressione, ma su Hamas e in primis sul Qatar affinché cacci i leader di Hamas e smetta di finanziarla, a costo anche di chiudere la base militare e inserirlo nella lista dei Paesi sostenitori del terrorismo, cosa che doveva già essere stata fatta, a mio avviso».
Circa un terzo del sostegno del Qatar nella Striscia di Gaza è erogato sotto forma di carburante che le autorità di Hamas vendono in contanti, il resto va in assistenza alla popolazione e stipendi dei dipendenti pubblici che Hamas taglieggia prelevando soldi dai loro stipendi. Hamas fa anche la cresta su tutti gli aiuti che affluiscono a Gaza e non è certo un caso che la popolazione palestinese nonostante i miliardi di dollari che arrivano siano in miseria mentre i capi e i capetti di Hamas sfrecciano con i loro Suv e gli abiti firmati per le strade di Gaza City, senza contare le ville sul mare (oggi rase al suolo dall’esercito israeliano), nelle quali davano sontuose feste. I capi di Hamas invitano i palestinesi a morire in guerra mentre loro e i loro figli sono all’estero dove spendono migliaia di dollari nelle gioiellerie e persino gli ultimi capi rimasti nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre sono scappati attraverso il valico di Rafah, ad esempio il portavoce del ministero della Sanità Ashraf al Qadra, che è una sorta di mago dei numeri dato che è lui che aggiorna sulla conta (inventata di sana pianta) dei morti nella Striscia di Gaza, che oggi si è messo al riparo in Egitto. Lo stesso ha tentato di fare senza fortuna Iman Batanj portavoce della polizia di Hamas (ma ci riproverà di sicuro), mentre altri dirigenti di rango minore stanno facendo di tutto per mettersi al riparo con le loro famiglie perché la jihad è bella se a farla sono gli altri.