La lezione della «carne» in Toscana: il cristianesimo non è una religione
Il nuovo libro di Socci è un inno alla terra di Dante e Giotto. Nella quale arte e bellezza comunicano il cuore della fede cattolica. Che è anzitutto un fatto, l’incarnazione, che ha reso possibile la gloria della corporeità
Al centro di tutto: il corpo. Il corpo di Dio. La sua carne e il suo sangue. Il cristianesimo non è una religione (se non in un senso tutto particolare): è un avvenimento storico, un uomo, Dio fatto carne. Per questo la grande civiltà cristiana fiorita in Toscana celebra la gloria dei corpi.
Gli artisti toscani hanno cercato di raffigurare, render presente, toccare il corpo stesso di Dio, la sua bellezza, quelle mani che guarivano tutti, quei piedi che hanno camminato e percorso i deserti per cercare e raggiungere tutti, quell’abbraccio che perdonava tutto e risollevava tutti. Il corpo di quell’uomo che è stato flagellato, macellato e crocifisso per noi. Quel corpo morto che è risorto ed è uscito dal sepolcro. Sono stati sue icone anche i santi perché loro - essendo gli amici di Gesù, come gli apostoli - lo rendevano presente nella loro carne (insieme alla carità della Chiesa) come luce e salvezza e anche come divina potenza di miracolo. [...]
I nostri progenitori, che vivevano immersi nella gravosa, faticosa e dolorosa materialità della vita, si aggrappavano a lui, al suo corpo, come naufraghi con tutte le loro pene, o come bambini con le loro speranze. Avrebbero voluto abbracciarlo - come la Madonna, come la Maddalena, come Pietro e Giovanni, come Francesco e Caterina, come i tanti malati, ciechi, lebbrosi, storpi dei Vangeli - perché guariva tutti: «E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano» (Mc 5, 56).
Per quanto possa sorprendere,
Per gentile concessione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo stralci dal nuovo libro del giornalista e scrittore Antonio Socci (Dio abita in Toscana, Rizzoli, 416 pagine, 19 euro, in vendita da domani). Il testo è un «viaggio nel cuore cristiano dell’identità occidentale»: un lungo percorso fatto di storia, arte, natura, geografia, bellezza, cucina e letteratura nei luoghi
degli uomini, per assimilarli a lui. Non solo si è fatto uomo, ma ha voluto impastare sé stesso con la nostra stessa carne, malata e in putrefazione, per guarirla. Ecco perché l’«amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce» (Sacramentum caritatis, n. 35). Ecco perché è irresistibile. San Giovanni Crisostomo, da vescovo, dice al popolo di Costantinopoli: «Egli diede a coloro che lo desideravano non solo di vederlo ma di toccarlo, di assaporarlo, di mordere la sua carne […] Noi assaporiamo colui che è assiso nei cieli e adorato dagli Angeli, ed essi non osano mirarlo mentre noi ce ne cibiamo […] Ritorniamo dunque dalla mensa eucaristica come leoni spiranti fuoco dalle nari, fatti terribili al demonio».
I mistici portano allo zenit questa vertiginosa comunione fra l’umano e il divino perché è per l’estasi, per la felicità e per la divinizzazione, per «indiarsi» (Par. IV, 28), che l’uomo è stato creato, come mostra Dante nel suo Poema sacro; anche se è impossibile descriverne la felicità, perché «trasumanar significar per verba / non si porìa» (Par. I,
santa Caterina Benedetto XVI
Cristo, più fecondi e ricchi della Toscana. L’autore - senese, classe 1959 - coglie l’inestirpabile radice cristiana dell’essenza della civiltà universale fiorita nella regione. L’estratto proposto, tratto dal capitolo «Saliva e fango, lacrime e sangue», indaga un aspetto cruciale della cultura cristiana in salsa toscana: la corporeità, «figlia» dell’incarnazione su cui si fonda il cristianesimo. fiore tra voi nato, leccatelo, gioiatevi con esso».
È inevitabile, leggendo queste parole, ricordare san Francesco che nel Natale 1223, a Greccio, proprio per «vedere con gli occhi del corpo» i disagi a cui si sottopose il Figlio di Dio, neonato in una stalla, al freddo, fra gli animali, letteralmente «inventò» il presepio. Dove Dio, fattosi uomo, per infinita umiltà volle nascere come il più misero e povero dei bambini. E poi lo contemplò disprezzato e macellato sulla croce con eguale amore.
«Fino al tempo di Francesco,» scrive Thode «la natura umana di Cristo era rimasta celata sotto la natura divina, ma ora veniva decisamente in primo piano.» Auerbach ha rilevato «l’importanza» che ebbe «l’azione di san Francesco
sul rinnovamento della fantasia e sulla rinascita dell’intuizione sensibile» e «la cosa,» sottolinea il grande filologo «è nota da gran tempo agli storici dell’arte figurativa».
La pittura di Giotto - che è all’inizio dell’arte fiorentina – sgorga proprio dalla spiritualità francescana. La Toscana è così il punto d’incontro fra i nostri due più grandi santi, la mistica Caterina da Siena, che viene dalla spiritualità domenicana, e Francesco. E non a caso Dante - che studiò con i domenicani di Santa Maria Novella e con i francescani di Santa Croce - è una sintesi mirabile di questi due splendidi mondi cristiani e di queste due teologie (lo mostra nel Poema sacro). Dunque - tornando all’anima toscana questa tenera vicinanza fisica al Salvatore per generazioni è stata vissuta dal popolo cristiano davanti alle immagini degli artisti che hanno rappresentato dappertutto gli eventi della storia del Figlio di Dio fra noi.
Il nostro popolo - come san Francesco - desiderava «vederlo con gli occhi del corpo», trovare rifugio nelle sue piaghe come invitava a fare santa Caterina, contemplare la sua dolce e consolante presenza, il suo volto, toccare il suo corpo, perché il fatto stesso dell’incarnazione di Dio, il suo stesso diventare uomo, carne umana come noi, è il prodigio sconvolgente che non finisce mai di stupire e che non si finisce
Gli artisti di questa regione hanno cercato toccare il corpo stesso di Dio
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