Il Pil russo vola e sancisce il flop delle sanzioni Se confisca gli asset di Mosca la Ue ci rimette
Nel 2023 la crescita economica russa ha superato quella statunitense ed europea, grazie ad un forte aumento del Pil del 3,6%. Ciò ha meravigliato tutti perché l’ocse aveva previsto per il 2023 una diminuzione del Pil russo del 2,5%, e la Banca Mondiale dello 0,2%. Solo il Fondo Monetario Internazionale aveva previsto una modesta variazione positiva dello 0,7%, molto lontana da quella realizzata.
L’aumento del prezzo di gas e del petrolio e la rivalutazione del rublo si pongono come concause della resilienza dell’economia russa. Importante è stata la strategia di dedollarizzazione di Mosca che, tramite l’intensificazione dei legami commerciali ed economici con Cina e India e l’utilizzo massiccio dello yuan nelle transazioni rispetto al dollaro, è riuscita a eludere il congelamento delle proprie riserve in valuta estera. Le esportazioni russe di petrolio sono oggi dirette per il 90% verso la Cina e l’india, a prezzi molto vantaggiosi. È aumentata in questo modo la competitività di Cina e India che viene sfruttata nei confronti degli americani e degli europei che hanno imposto le sanzioni. [...]
Questo quadro, non previsto, dimostra che le sanzioni economiche inferte alla Russia sono state in larga parte inefficaci e che, addirittura, effetti economici negativi si sono riversati sui Paesi dell’ue le cui economie sono immerse in un quadro di preoccupante stagnazione. Ci si chiede allora come potrà essere l’esito del conflitto tra Russia e Ucraina, visto che l’economia russa non è crollata, anzi, dati alla mano, è cresciuta a ritmi che noi europei ci sogniamo.
[22 marzo 2024]
Quanto all’impiego degli asset (russi congelati, ndr), in Europa depositati per circa 190 miliardi di euro presso la depositaria belga Euroclear, mentre somme superiori a 200 miliardi di dollari sarebbero bloccate negli Usa, permangono le difficoltà prospettate in precedenza.
Innanzitutto, i beni sono congelati: bisognerebbe passare chiaramente alla loro confisca da parte di Paesi non belligeranti. E qui sorgono problemi, in particolare di diritto internazionale, dal momento che non ci si potrebbe rifare testualmente a principi generali o a convenzioni che legittimino l’acquisizione della proprietà degli asset e il loro impiego. La proposta americana di cedere gli asset all’ucraina, la quale, a sua volta, emetterebbe titoli per un determinato ammontare annuo allo scopo di finanziarsi sui mercati, ripropone il problema della proprietà delle risorse, quindi, della fiducia nel «collaterale» dei titoli emessi e perciò dell’agevole loro sottoscrizione. L’incertezza che graverebbe sull’operazione, la carente affidabilità non sarebbero facilmente superabili, anche nella versione che altri prospettano cioè con l’emissione di titoli legati alla ricostruzione del Paese (naturalmente, a guerra conclusa). Una forzatura rischierebbe di riverberarsi negativamente sulla fiducia nell’euro e nelle relative regole monetarie. Sarebbe doveroso al riguardo un formale parere della Bce, anche per evitare di incorrere in un «boomerang».
[18 marzo 2024]