Il premier Meloni blinda Piantedosi «Sta subendo attacchi vergognosi»
A difesa del Viminale: «Nessun pregiudizio sul Comune, ma solo giuste verifiche»
Mentre la sinistra sembra essersi cacciata in un vicolo cieco sulla storia dei contatti con le famiglie dei boss baresi di Michele Emiliano e Antonio Decaro, ieri sull’affaire del capoluogo pugliese è intervenuto il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Lo ha fatto, a margine della firma dell’accordo di coesione con la Regione Molise, per difendere l’operato del ministro dell’interno Matteo Piantedosi, bersaglio da giorni di un veemente attacco politico da parte della sinistra dopo la decisione di istituire la commissione cui è delegato il compito di valutare l’eventuale scioglimento del Comune, in seguito ad un’inchiesta che ha portato a numerosi arresti. «Di quello che succede a Bari», ha detto il premier, «penso che le accuse rivolte al ministro Piantedosi siano francamente vergognose. Penso che il ministro Piantedosi», ha proseguito, «abbia agito correttamente: l’accesso ispettivo che è stato disposto dal ministero dell’interno non è pregiudizialmente finalizzato allo scioglimento, è una verifica che va fatta ed è esattamente la stessa misura che sarebbe stata utilizzata nei confronti di qualsiasi altro Comune. Quindi le accuse di utilizzare politicamente questi strumenti», ha aggiunto, «le rinvio al mittente. Noi non abbiamo fatto alcuna forzatura. Avremmo fatto una forzatura se non avessimo disposto un accesso ispettivo che sarebbe stato disposto nella stessa condizione per qualsiasi altro Comune italiano». Da quando il governo Meloni si è insediato, i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose sono stati 15, un numero in media coi predecessori di Meloni a Palazzo Chigi e di Piantedosi al Viminale. Inoltre, le giunte sciolte sono state di tutti i colori politici.
Come è noto, la campagna del Pd contro il ministro Piantedosi e tutto il centrodestra è culminata con una manifestazione nel capoluogo pugliese sabato scorso in solidarietà a Decaro, che però si è rivelata un clamoroso boomerang, dopo le parole pronunciate dal governatore Emiliano quando ha ricordato di un incontro tra lui (allora sindaco), Decaro (allora assessore) e la sorella di un boss. La situazione si è fatta ancor più difficile per i dem, perché dopo i dinieghi e le smentite del primo cittadino è spuntata una foto di un anno fa che lo ritrae assieme ad una sorella e alla figlia del boss ergastolano Antonio Capriati. L’ordine di scuderia, dal Nazareno, è ovviamente quello di minimizzare e di puntare su diversivi come la richiesta di dimissioni per il ministro Daniela Santanchè, ma l’imbarazzo e le richieste di spiegazioni stanno crescendo di pari passo.
Tanto che nei prossimi giorni sia Decaro che Emiliano potrebbero essere ascoltati dalla commissione Antimafia, come stanno chiedendo alcuni esponenti della maggioranza. Significativo, in questo senso, quanto dichiarati ieri dalla presidente della commissione Chiara
Colosimo: «Le parole di Emiliano», ha detto, «sono profondamente sbagliate. A mio avviso sarebbe un atto di profonda maturità politica riconoscerlo trasversalmente e allo stesso tempo dire una cosa facile: cioè che tutte le volte che uno subisce una minaccia, chiunque questo sia, deve denunciare. Su cosa farà l’antimafia», ha aggiunto, «si esprimerà l’ufficio di presidenza perché io non intendo mai entrare in commenti su indagini o accessi in corso». Di fronte al pressing del centrodestra per avere dei chiarimenti sulla vicenda, ieri Decaro si è difeso con un videomessaggio, non trovando di meglio che dire - per quanto riguarda la foto incriminata - di «aver avuto difficoltà a capire chi fossero» le due donne. «Ho chiamato quindi il parroco della cattedrale», ha aggiunto, «e abbiamo capito che sono due parenti del boss Capriati ma non hanno nulla a che fare con il resto della famiglia».