Corsi di autodifesa sul clima fatti da geometri
La società partecipata Envipark ed Enea organizzano lezioni contro chi osa mettere in dubbio il surriscaldamento globale Peccato che fra i «negazionisti» ci siano anche premi Nobel. Mentre a salire in cattedra saranno politici, influencer e un’attivista L
Come sapete sono un negazionista climatico. A scanso di equivoci, nego che il clima sia governato dall’uomo e, men che meno, dalle emissioni di CO2. La quale è, sì, un gas serra ma, dello spettro di radiazione emesso dalla Terra - radiazione con lunghezze d’onda compreso fra 4 e 40 micron e con un massimo intorno a 10 micron quella assorbibile dalla CO2 è solo la radiazione di 15 micron (diciamo la porzione compresa fra 14 e 16 micron), cosicché una volta che questa radiazione è completamente assorbita potete aggiungere tutta la CO2 che volete, ma l’effetto serra non cambierà. Ma la CO2 presente in natura assorbe già quasi tutta quella radiazione, e pertanto quella aggiunta dall’uomo nulla fa. Invece è molto benefica per la vegetazione.
Negazionisti climatici come me sono altri minori personaggi, tipo Ivar Giaever e John Clauser, entrambi premi Nobel per la fisica, Uberto Crescenti, professore di geologia e già rettore, Giuliano Panza, professore di geofisica e accademico dei Lincei, Franco Prodi e Nicola Scafetta, entrambi professori di climatologia. E altri 2.000 geologi, geofisici, climatologi che hanno sottoscritto la Dichiarazione mondiale sul clima che recita: «Non c’è alcuna emergenza climatica». Eminentissima non negazionista è Greta Thunberg.
Con grande stupore scopro di essere pericoloso, e con me lo sono tutti i 2.000 negazionisti di cui sopra. Addirittura! Eh già, perché, pensate, apprendo che è di nuova formazione, in quel di Torino, un think tank che ha dato vita a un corso di autodifesa personale contro il negazionismo climatico. Il corso «svilupperà le armi» per difendersi da chi vuol negare l’emergenza climatica. Capisco che stiamo vivendo tempi di guerra con minacce di lanciare bombe nucleari come fossero petardi di Capodanno, ma forse alcuni animi si lasciano prendere la mano e si scaldano oltre il necessario.
E scommetto che nell’autodefinirsi think tank, per «tank» intendano carrarmato. Vediamo allora cos’è ’sto tank (poi vedremo la parte del think).
Il tank è un parco tecnologico (Envipark), «una società privata» e, se si guarda nel loro sito cosa fa, essa è messa in legittimi affari con qualunque attività che promuova la decarbonizzazione. A dire il vero i loro propositi sono espressi per lo più in inglesorum (termine da me coniato apposta visto che il latinorum non è più di moda), ma il succo quello è: fare affari - ripeto legittimi con la decarbonizzazione.
Ora, decarbonizzare è l’ultima cosa che una società privata farebbe, perché fallirebbe sul nascere. Una siffatta società avrebbe bisogno, per vivere, delle sovvenzioni di denaro pubblico, cioè del denaro delle tasche di voi che leggete. E, infatti, a correzione di quanto ho scritto sopra, la Envipark dice di essere «una società privata a partecipazione pubblica»; fra i soci il Comune di Torino. Ma per mettere denaro pubblico sulla decarbonizzazione, questa dovrebbe essere di pubblica utilità, e siccome i 2.000 scienziati dicono che la decarbonizzazione non è di alcuna pubblica utilità - anzi dicono che è dannosa - ecco che quelli di Envipark si sentono minacciati. Insomma, a doversi difendere dai negazionisti climatici sono quelli di Envipark e non gli utenti del loro corso.
E veniamo al think che dovrebbe essere l’emanazione cerebrale di quelli che sono presentati come «sette esperti di clima» che, armi affilate, terrebbero il corso di autodifesa. Il capo di tutti è tale Giacomo Portas, esponente ora del Pd, ora di Italia viva, ora di Italia c’è, già deputato, presidente di Envipark, geometra. Senza bisogno di nominare gli altri sei, vi cito solo le loro dichiarate competenze. Una dichiara di essere influencer e di aver frequentato una qualche scuola di economia, ma non è chiaro se l’ha completata. Un altro è della Pontificia accademia per la vita, laureato in teologia. Un’altra, che si definisce «agricoltrice visionaria», è laureata in economia e commercio. Poi c’è una che si autodefinisce attivista Lgbtq+, assessora e ingegnera (il femminile lo usa lei). Penultimo, c’è il laureato in scienze politiche, assessore anch’egli. Infine, il laureato in giurisprudenza.
Tutte ottime persone, per carità. Io, oltre che negazionista, sono un contribuente. Siccome l’iniziativa, rivolta a studenti delle scuole e a privati, è di una società a partecipazione pubblica ed è in concertazione con l’enea, che è un ente pubblico finanziato dalle mie tasse, la domanda è: perché mai un geometra, due economiste, un teologo, una ingegnera, un politologo e un giurista sarebbero «sette esperti di clima» (copyright La Stampa)? E quale sarebbe il ruolo dell’enea in questa iniziativa? Un’ultima domanda è: sono disposti costoro a un dibattito con scienziati non meno rispettabili dei sette nominati sopra e che potrebbero argomentare ai virgulti delle nostre scuole che, invece, non c’è alcuna emergenza climatica? Così, giusto per sapere, visto che uno dei capitoli del corso si titola, speranzosamente per me, «Approccio e pensiero critico».